jeeg“Ma che è un cartone, sto Jeeg?” E tu che stai a spiegare che, no, che si tratta di uno dei migliori film italiani della stagione, pluripremiato ai David. Del resto, l’Italia ha rialzato la testa, dopo un lungo periodo di vacche magrissime. Dopo il ciclone Zalone e il meritato successo di Perfetti Sconosciuti (quasi 17 milioni di euro di incasso), ha conquistato il cuore della gente anche Lo chiamavano Jeeg Robot, opera prima di Gabriele Mainetti (segniamoci il suo nome), sorprendente per intuizioni, freschezza di idee, bravura del cast (stunt compresi). Tanto che a distanza di dieci settimane dal suo arrivo nelle sale, te lo ritrovi ancora in top ten (certo, grazie anche ai David), con un box office complessivo di 4.451.595 euro. Oltretutto, su un tema del tutto «americano» come quello dei supereroi, genere nel quale, dopo il positivo Il ragazzo invisibile di Salvatores, dimostriamo di avere molto da dire, magari coniugandolo ad un modo un po’ coatto di raccontare le cose, ma senza sacrificarlo all’intrattenimento puro che è poi la vera forza di questa bella pellicola.

Protagonista è Enzo Ceccotti, cui dà volto un meraviglioso Claudio Santamaria, delinquentello di borgata, dedito a piccoli furti, che, durante una fuga dalla polizia, finisce nel Tevere, entrando a contatto con del materiale radioattivo contenuto in un barile. Riemerge mezzo morto, salvo scoprire di essere diventato fortissimo, una forza sovrumana che gli permette, vista la sua natura di ladro, di sfruttarla per sradicare con facilità un bancomat dal muro. Metterà, si fa per dire, la testa a posto quando un piccolo boss con aspirazioni da grande (un perfetto Luca Marinelli, villain da incorniciare) minaccerà Alessia, una ragazza problematica (bravissima Ilenia Pastorelli), vicina di casa di Enzo. Lei, fissata con la serie animata di Jeeg Robot, vedrà in lui il materializzarsi del suo eroe preferito. Ma il male è sempre in agguato.

Dell’uomo qualunque investito da superpoteri è piena la storia dei fumetti, ma questa versione tutta italiana, grottesca e disincantata, girata con budget ridotto (ma non si vede) sembra la più vera di tutte. Anche qui, colpa e redenzione fanno parte del percorso del protagonista, ma senza quei tratti un po’ snob, da occhio schiacciato alla critica, che li rendono indigesti al grande pubblico. Il meccanismo, nella sua semplicità, funziona alla meraviglia. Una lezione di cinema che dimostra come non servano grandi mezzi per realizzare ottimi film. Occorrono coraggio, idee e persone capaci di realizzarle.

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