amourChe barba, che noia. Inizia Cannes e come puntualmente succede in concomitanza con i Festival cinematografici (ovvero Berlino e Venezia) i giornali saranno costretti a parlare di film che, salvo rare eccezioni, la maggior parte del pubblico pagante, poi, non andrà a vedere in sala (o che magari neanche arriveranno al cinema). Giusto per capirsi, vi riporto i dati degli incassi, arrotondati, degli ultimi vincitori delle varie passerelle cinematografiche, ovvero:

Festival di Venezia

2015: Ti Guardo (Venezuela) 55.000 euro
2014: Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza (Svezia)314.000 euro
2013: Sacro GRA (Italia) 970.000 euro
2012: Pietà (Corea del Sud) 372.000 euro
2011: Faust (Russia) 339.000 euro

Festival di Berlino:

2016: Fuocoammare (Italia) 693.000 euro
2015: Taxi Teheran (Iran) 668.000 euro
2014: Fuochi d’artificio in pieno giorno (Cina) 76.000
2013: Il caso Kerenes (Romania) 109.000
2012: Cesare deve morire (Italia) 420.000 euro

Festival di Cannes:

2015: Dheepan – Una nuova vita (Francia) 143.000 euro
2014: Il regno d’inverno – Winter Sleep (Turchia) 229.000 euro
2013: La vita di Adele (Francia, Tunisia) 1.506.000 euro
2012: Amour (Austria) 992.000 euro

Alcuni di questi film, sia chiaro, sono davvero belli (penso al meraviglioso Amour o a Taxi Teheran, ma non solo) e avrebbero meritato una accoglienza migliore nelle sale, ma altri, da mandibola slogata per i continui sbadigli, appaiono vincitori incomprensibili agli occhi dei più. E qui non si tratta di fare del facile populismo, ma mi sembra che giurati e una certa critica radical (quella che premia con tre sbadigli i capolavori) viaggino, come nell’economia, a due velocità rispetto ai gusti del pubblico. E’ vero che Hitchcock sosteneva che “Il cinema è la vita con le parti noiose tagliate”, ma mi sembra che ormai (e lo dico vedendo, ogni anno, centinaia e centinaia di pellicole di ogni tipo e nazionalità) la noia sia il linguaggio preferito di certi autori impegnati che proprio nei festival trovano il loro naturale approdo, trasformando queste rassegne in qualcosa di sempre più distante (dalla gente), narcisista ed esclusivo. Non tutti, sia chiaro. Insomma, ogni edizione, ogni Festival, mi sembrano occasioni sprecate per cercare di avvicinare il pubblico pagante a opere d’autore che, abitualmente, non andrebbero a vedere. Una sorta di incomprensibile autolesionismo dell’industria cinematografica. Spero, già da questa edizione, di potermi sbagliare magnificando, nelle mie future recensioni, un capolavoro asiatico vincitore di qualche premio, anche se sento già il mio collega Bertarelli sfregarsi le mani per la quantità di film che da Cannes finirà inesorabilmente come materia privilegiata dei suoi meravigliosi sconsigli.

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