sordiUn viaggio dentro una leggenda italiana. È quello compiuto da Silvana Giacobini che, a quindici anni dalla scomparsa del grande Alberto Sordi (il 24 febbraio del 2003), lo omaggia con una biografia del tutto particolare, dal titolo affettuoso di Albertone (Cairo Editore). Quelle narrate dall’ex direttrice di Gioia, Chi, Diva e Donna, sono delle istantanee che assomigliano a quei ricordi ai quali ci si abbandona, magari a tavola, raccontando episodi significativi di un amico scomparso. E, nelle 203 pagine che compongono il libro, ne troverete tante; non il classico resoconto biografico, rigorosamente cronologico, spesso asettico che accomuna molti libri di questo particolare genere letterario, ma la testimonianza di affetto di una persona che, avendolo conosciuto e intervistato più volte, ha deciso di ricordarlo raccontando sì il Sordi attore, ma, soprattutto, l’uomo Alberto. Un libro che equilibra la carriera artistica del grande Albertone con quella delle sue conquiste amorose. Sordi è stato un grande seduttore. E, partendo proprio dal suo fascino, la Giacobini ricorda il loro primo incontro, entrambi ospiti nella villa dei Monini. «Quella sera Alberto mi fece una corte discreta, che lo divenne meno quando a notte fonda prese a bussare alla porta della mia stanza e a chiedermi di aprire al grido di Silvana! Silvana!. Io finsi che la sua vociona baritonale non fosse riuscita a svegliarmi. L’indomani mattina all’affollata prima colazione, pensavo che, offeso per la figuraccia, non mi avrebbe rivolto il saluto. Invece, con mia grande sorpresa, fu gentilissimo, s’inchinò e con un baciamano mi scostò la sedia per farmi accomodare a tavola».

Sordi non si era mai sposato preferendo essere «fidanzato tutta la vita». Alla Tornabuoni aveva confidato: «Il fatto, capisce, è che per l’italiano la moglie diventa subito una madre. Cioè quella donna sublime ma rancorosa, devota ma grassa che guarda la casa, cresce i figli, parla solo di soldi, si prende rimproveri, parolacce, fa le iniezioni, conosce tutte le miserie, tutto sa e tutto perdona». Dei tanti, tantissimi amori avuti, però, una donna, ricorda la Giacobini, ha avuto un posto particolare nel cuore di Sordi. Era Andreina Pagnani, di quattordici anni più grande di Alberto, che «aveva una bellezza antica, un magnifico sorriso e un naso aristocratico che le conferiva l’aria imperiosa di una regina». Di Andreina, Sordi «aveva perso la testa al punto che sarebbe stata proprio lei, la divina Andreina, l’unica donna che avrebbe voluto sposare». Non manca un approfondito ricordo anche della relazione avuta con l’austriaca Uta Franzmair, figlia di albergatori, lanciata da Sordi nel cinema. Con lei, i preparativi del matrimonio erano avviati, ma, spaventato, l’attore mandò il suo braccio destro in missione: «Fu Bettanini che, con faccia di bronzo, si presentò in quel di Bad Gastein, ai genitori di Uta, dicendo che il matrimonio non era più tra le priorità di Alberto».
Il libro della Giacobini racconta nel dettaglio anche gli altri flirt del grande seduttore: l’ereditiera Frances De Villers, la giovane Giovanna Manfredi, la principessa Soraya. Ovviamente, non si prescinde dalla carriera artistica dell’uomo che più di ogni altro ha saputo rappresentare vizi e virtù dell’italiano medio. Colpisce, ad esempio, il racconto della tragedia avvenuta sul set di Scipione detto l’Africano, nel quale Sordi era un semplice soldato romano. Scoppiò un incendio e una decina di figuranti morirono in modo atroce.
Un ricordo indelebile che lo tormentò fino alla morte. Una carriera in salita, almeno nei primi anni, fatta di doppiaggi (Ollio, per citare il più famoso), della radio (tra i tanti, Mario Pio) che gli fece da trampolino, ma anche di insuccessi, come quello di Mammia mia, che impressione, da lui scritto con Zavattini. Fino alla svolta con il Nando Moriconi di Un americano a Roma, personaggio del quale l’autrice racconta la «sofferta» genesi nel precedente Un giorno in pretura. Impossibile sintetizzare i tanti ricordi riportati, brillantemente, da Silvana Giacobini, che riguardano vari aspetti della vita di Sordi, come la sua presunta avarizia, la voglia di paternità, il suo rapporto con lo sceneggiatore ex partigiano Rodolfo Sonego, il legame con le sorelle zitelle Savina e Aurelia e la famosa eredità contestata, il rapporto con la Magnani e con De Laurentiis.
Val la pena riportare, però, quello, curioso, di Enrico Vanzina, figlio di quello Steno che adorava Sordi, che a proposito di Totò e i Re di Roma (unico film nei quali i due grandi recitarono insieme), girato dal padre, raccontò: «All’improvviso papà non voleva credere a quello che vedeva nella macchina da presa: Totò stava sputando sul collo di Sordi. Improvvisando, era un modo per riprendersi la scena. Totò, che era un grande artista, aveva capito subito che quel giovane attore era un genio e non voleva farsi rubare troppo a lungo l’inquadratura». La grandezza di Sordi era stata consacrata da uno sputo.

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