Oggi ospito nel mio Blog un amico che ha scritto due articoli (a mio modestissimo parere) molto lunghi ma davvero interessanti. Per chi avrà la pazienza di arrivare in fondo.D’ altronde se si approfondiscono gli argomenti è impossibile essere brevi. Alla fine di questi due articoli ognuno rifletterà se davvero Bankitalia debba restare così oppure debba essere riformata da capo a piedi.

 

Verità e bugie sulla Popolare di Bari (BPB). L’analisi di Liturri.

 

popolare di Bari

Che cosa è successo davvero alla Popolare di Bari (BPB) e quali sono le prospettive per la banca commissariata nell’approfondimento dell’analista Giuseppe Liturri

Ci sono cose che sappiamo di sapere. Ci sono cose che sappiamo di non sapere. E poi ci sono cose che non sappiamo di non sapere.

Ed è proprio quest’ultima categoria ad essere quella più pericolosa e difficile. Questa dichiarazione del segretario di Stato alla difesa USA Donald Rumsfeld, famoso per il ruolo avuto durante la seconda guerra del Golfo contro l’Iraq, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, si presta alla perfezione nel descrivere la crisi della Banca Popolare di Bari (BPB).

Ovviamente qui si parlerà delle prime due, nella consapevolezza di omettere la terza, sconosciuta per definizione ma decisiva.

  • Sappiamo di sapere che molti in questo paese, fanno fatica a distinguere la differenza tra un’attività soggetta a tutela costituzionale attraverso l’art. 47 e regolata da ben due soggetti pubblici (Banca d’Italia e Consob, e a livello UE: BCE, EBA, ESMA) ed un banco di frutta al mercato, ovvero una normale attività industriale e commerciale.

Non si spiegherebbero altrimenti gli alti lai di personaggi più o meno autorevoli e sedicenti competenti, tutti intonati allo stesso modo: lo spreco del denaro dei contribuenti per proteggere chi ha imprudentemente (senza educazione finanziaria, aggiungono quelli che hanno frequentato le buone università) affidato i propri risparmi alla BPB.

Questi commentatori sanno di sapere che (ma fingono di non saperlo) che:

  • Proprio per la evidenziata peculiarità del bene risparmio, deve essere possibile andare in banca, trovare un interlocutore affidabile, preparato e corretto ed attendersi che le proposte di investimento siano adeguate al proprio profilo di rischio ed livello di conoscenza degli strumenti finanziari;
  • Il regime di vigilanza è proprio il presidio posto per impedire un eccessivo azzardo morale, cioè l’assunzione di rischi nella consapevolezza che un eventuale dissesto possa essere comunque sanato dall’intervento pubblico. L’azzardo morale non deve essere impedito dal rischio che la banca salti, ma dalla presenza dell’autorità di vigilanza che sorveglia sia il rischio assunto dalla banca che dal risparmiatore. Non ha quindi senso invocare il fallimento della banca per sanzionare chi ha assunto rischi inappropriati. Sarebbe come invocare il crollo della tribuna pericolante di uno stadio per sanzionare chi vi è entrato. No, è compito degli organi di vigilanza impedire sia che il proprietario dello stadio lo apra al pubblico e sia che il pubblico vi acceda. Questo non significa imputare alla vigilanza qualsiasi crollo di una tribuna, ma invece pretendere che, qualora accada, tutti gli strumenti preventivi siano stati posti in essere.
  • Si è addirittura sentito parlare di improponibili paragoni con gli azionisti della startup, appena fallita, Bio-On che perdono tutto ed azionisti di BPB che… perdono tutto ugualmente. Infatti, da ormai 3 anni quasi un quarto di questi ultimi cercano inutilmente di vendere le proprie azioni, senza trovare compratori e, nella migliore delle ipotesi, potrebbero ricevere il rimborso del 30% dell’investimento dal Fondo Indennizzo Risparmiatori (FIR), qualora fosse esteso agli azionisti di BPB e ci fossero le condizioni per accedervi. Anzi, sono proprio gli azionisti di BPB ad essere penalizzati rispetto a quelli di una qualsiasi altra impresa: la presenza di ben 2 soggetti vigilanti, avrebbe dovuto tutelarli ed abbassare il loro livello di rischio. Invece si ritrovano per strada come un azionista di una qualsiasi altra impresa.
  • Sappiamo di sapere anche che è ormai partita la caccia all’untore. Al banchiere disonesto che ‘ha rubbbato tutto’ ed ha finanziato gli amici degli amici senza il rispetto di alcuna regola, compiendo malversazioni di ogni tipo. Anche questo luogo comune non regge e va almeno corretto, se non ribaltato. Banca d’Italia ha ripetutamente affermato che le cause delle gigantesche sofferenze bancarie successive al 2012, sono soprattutto di tipo macroeconomico e per una minima parte attribuibili a malversazioni. Infatti, si tende spesso a dimenticare che l’Italia è stata interessata da una doppia recessione (2008-2009 e 2012-2014) in cui sono andati in fumo quasi un quarto della produzione industriale e circa 10 punti di PIL. In conseguenza di tale epocale distruzione di valore che non ha precedenti in tempo di pace, tutto il sistema bancario ha subito ingenti perdite sui prestiti. La differenza tra banche che hanno retto l’urto e quelle che hanno ceduto, sta nella disponibilità di un cuscinetto di capitale sufficientemente ampio per assorbire le perdite ed in una più rigorosa politica di erogazione del credito. Chi ha retto ha diversificato maggiormente il rischio, sia per la dimensione degli affidamenti e sia per la concentrazione settoriale. Non è un mistero che le maggiori sofferenze di BPB (e delle altre banche che l’hanno preceduta nelle difficoltà) siano concentrate nel settore immobiliare. Ma qualcuno ha mai notato che il numero delle compravendite di abitazioni nel 2015 si era dimezzato ed i prezzi erano scesi del 30% rispetto ai massimi di metà del primo decennio? Business plan che sembravano ben promettere sono diventati all’improvvisa carta straccia, mega centri commerciali sono rimasti delle scatole vuote. Chi era in grado di prevedere un tale sconquasso? Quali conseguenze avrebbe potuto avere su banche che erano cresciute troppo e troppo in fretta come la BPB? Ancora una volta, qui non si sta assolvendo d’ufficio nessuno, a Bari ci sono ben 7 fascicoli di indagine aperti. Si cerca solo di riportare al centro una barra spostata troppo banalmente sulla ‘reductio ad hitlerum’ di qualsiasi atto proveniente dal management della BPB, perdendo di vista la prospettiva macroeconomica.
  • Sappiamo di sapere che la trasformazione in SpA da parte della BPB non avrebbe risolto alcun problema. Nella vulgata dominante, tale trasformazione avrebbe reso contendibile il controllo della banca e favorito l’ingresso di nuovi investitori. Peccato che quella riforma, nata per decreto nel gennaio 2016 ad opera del governo Renzi, fu letteralmente fatta a pezzi nel dicembre successivo da una sentenza del Consiglio di Stato ed è tuttora presso la Corte di Giustizia UE. La BPB per ben due volte aveva convocato l’assemblea dei soci per procedere alla trasformazione ed altrettante volte fu bloccata dai giudici. Ma, ove mai la trasformazione fosse andata in porto, qualcuno crede che, una volta resa contendibile la banca, un investitore sarebbe entrato in BPB senza chiedere un pesantissimo sconto sui valori di bilancio, considerato che nel 2016 i problemi della banca erano tutti già ben presenti e che i multipli a cui quotavano altre banche in Borsa erano abbondantemente più bassi di quelli espressi dal valore dell’azione posto ad un irrealistico €9,53? Un nuovo investitore avrebbe immediatamente e verosimilmente iperdiluito il valore di quelle azioni. Altro che strumento per superare i problemi della banca che, viceversa, sarebbero solo emersi più in fretta.
  • Sappiamo di sapere che la pratica del cosiddetto mis-selling (vendita fraudolenta) non è derubricabile a sporadici episodi. A far comprendere la pericolosità di quanto è accaduto in Italia, soprattutto tra 2012 e 2014, ci aiuta un documento pubblicato dai supervisori europei (EBA, ESMA, EIOPA) il 31 luglio 2014. In esso si esprime preoccupazione per la diffusa pratica di collocare ad un pubblico al dettaglio strumenti finanziari particolarmente rischiosi emessi dalla stessa banca ed il cui livello di rischio risulta difficilmente apprezzabile dal piccolo risparmiatore. Proprio tra 2013 e 2015, la BPB raccoglieva presso il pubblico in gran parte al dettaglio, circa €700 milioni, arrivando quasi a raddoppiare il patrimonio netto, tra aumenti di capitale (a pagamento e via conversione di prestiti in azioni) ed obbligazioni subordinate. Se la massima autorità europea nel 2014 aveva ritenuto opportuno un intervento di tale durezza e chiarezza, forse era in atto una massiccia campagna di trasferimento del rischio a (parzialmente) inconsapevoli risparmiatori? O qualcuno crede che i regolatori facevano solo accademia? In questo, BPB è solo un episodio di un’unica lunghissima catena che parte dagli obbligazionisti di Banca Etruria, passa per quelli di Veneto Banca e Popolare Vicenza e termina, speriamo, a Bari. Di fronte a questo sistemico raggiro del risparmiatore, regge poco la vulgata di chi crede si sia trattato solo di avidità ed ignoranza finanziaria. Basta scorrere le decisioni dell’Arbitro per le Controversie Finanziari (ACF) presso la Consob: quasi il 10% dei ricorsi riguarda la BPB e quasi il 90% delle decisioni sono favorevoli ai risparmiatori, un’autentica galleria degli orrori. Bisogna quindi mettere le cose in prospettiva e questo porta a concludere che, soprattutto tra 2012 e 2015 tutte le banche italiane avevano un drammatico bisogno di capitale, in conseguenza delle perdite subite a causa dei prestiti inesigibili, e non c’era altra via d’uscita che attingere al risparmio privato, soprattutto al dettaglio, quello più debole e facilmente aggredibile. Se l’autorità europea di vigilanza arriva a diffondere pubblicamente un documento per porre un freno a questa pratica, fatevi una domanda e datevi da soli una risposta sulle dimensioni del fenomeno. In una delibera CONSOB del 2018 che sanziona gli amministratori della BPB (recentemente confermata dalla Corte di Appello di Bari), in occasione dell’aumento di capitale del 2014, il 23% delle sottoscrizioni proveniva da precedente dismissione di altri strumenti finanziari, dei quali circa la metà erano di una classe di rischio inferiore rispetto ai nuovi strumenti sottoscritti. C’è bisogno di altre prove per poter affermare che il problema non è quello della pagliuzza del direttore di banca disonesto o del risparmiatore avido, ma quello della trave di una sistematica operazione di finanziamento/capitalizzazione di banche in difficoltà, eseguita distogliendo risparmio privato da altri impieghi, con modalità non consentite dalla legge, sotto gli occhi consapevoli di tutta la catena di comando delle banche coinvolte e dei regolatori nazionali ed europei, che non solo non potevano non sapere, ma sapevano perfettamente di sapere, come conferma il documento dei regolatori?
  • Sappiamo di sapere che l’acquisizione della TERCAS ha costituito probabilmente l’inizio della fine per BPB. Infatti quella operazione ha determinato nuovo fabbisogno di capitale per la banca (raccolto nel discutibile modo che sappiamo) ed ha portato in carico alla stessa una rilevante massa aggiuntiva di prestiti in sofferenza. Ma su questo argomento sono anche numerose le cose che sappiamo di non sapere, soprattutto dopo la lettura dell’approfondimento pubblicato da Banca d’Italia il 16 dicembre.

In esso, si descrive chiaramente la situazione di carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione del rischio di credito, riscontrata dalla Vigilanza sin dal 2010 e la continua interlocuzione con gli organi della banca affinché fossero adottate idonei rimedi. A causa di quelle carenze, a BPB era vietato espandere la propria attività. Finché “…In considerazione degli interventi posti in essere e delle relazioni fornite dall’internal audit e dal Collegio Sindacale, nel giugno 2014 vengono rimossi i suddetti provvedimenti restrittivi…” ed a luglio 2014 la Banca d’Italia autorizzò la BPB ad acquisire il controllo di Tercas. Ma i contatti erano partiti sin dall’ottobre 2013, successivamente alla lettura delle relazione di ispezione del Dott. Barbagallo al consiglio della BPB di cui si è letto in questi giorni sui giornali e per la quale Bankitalia ha ritenuto addirittura di fare un comunicato stampa. In tale documento si parla del finanziamento ELA rimborsato da TERCAS a Banca d’Italia a novembre 2013 contestualmente all’erogazione di un mutuo di pari importo da BPB a TERCAS. Insomma, sin dal novembre 2013, nonostante fosse ancora vigente il divieto di espandere l’attività, BPB si era lanciata mani e piedi a sostegno di TERCAS. E indovinate da dove aveva appena preso i soldi BPB? Dalle operazioni di finanziamento LTRO della BCE. Interessante! Alla fine del giro, BCE/Bankitalia si è ritrovata creditrice di BPB per il finanziamento LTRO, anziché di TERCAS per il finanziamento ELA, ed il cerino TERCAS (pur garantito da titoli) è rimasto in mano a BPB. E dopo tale operazione, che già legava pesantemente BPB a TERCAS, Bankitalia avrebbe mai negato l’autorizzazione all’acquisizione?

Dopo 4 anni in cui la banca era stata fatta oggetto di rilievi di una certa gravità, a Banca d’Italia è sufficiente una relazione di organi interni per considerare la banca idonea ad assumere rischi di tale rilevanza, visto che si parla proprio di ‘salvataggio’? In altre parole Bankitalia ha chiesto all’oste come fosse il vino e ci ha pure creduto? C’è da restare senza parole. A peggiorare il quadro, a febbraio 2015 arrivò pure il ‘faro’ di Margrethe Vestager che aprì un’indagine per aiuti di Stato a causa della natura pubblica del FITD (che aveva erogato un contributo di €330 milioni alla BPB a sostegno dell’acquisizione) ed a fine 2015 arrivò pure la decisione ufficiale che confermava l’ipotesi iniziale. Ad inizio 2016 la BPB rimborsò quella somma che le fu contestualmente versata dallo schema volontario del FITD, messo in piedi nottetempo per superare i rilievi della DG Comp di Bruxelles. Solo a marzo 2019, il Tribunale UE ha annullato quella decisione, dando ragione all’Italia ed alla BPB. Nel frattempo, l’integrazione tra le due banche era rimasta sub judice per più di un anno, con le immaginabili conseguenze sul piano operativo.

La decisione di Banca d’Italia del luglio 2014 desta ancora più perplessità soprattutto se si fa attenzione a quanto accaduto ad ottobre scorso, quando la BCE non ha autorizzato l’acquisizione di CariCento da parte della Popolare di Sondrio, con la motivazione che quest’ultima deve prima procedere alla riduzione dei rischi. Quindi alla Sondrio è stata vietata un’acquisizione di una banca che costituirebbe appena meno di un decimo della propria raccolta e dei propri impieghi. Peccato che invece BPB nel 2014 venne autorizzata, dopo anni di divieto, ad acquisire un banca che aveva dimensioni solo di poco inferiori (TERCAS aveva raccolta ed impieghi, rispettivamente per 5 e 6 miliardi) e veniva da un commissariamento. Evidentemente ci sono degli elementi che ci sfuggono e sappiamo di non sapere.

Per chiudere questo capitolo, si evidenzia che, proprio in quei caldi mesi dell’estate 2014, Bankitalia era impegnata su altri due fronti: caldeggiare il tentativo di acquisizione da parte di Popolare Vicenza, sia di Banca Etruria che di Veneto Banca, condotto sulla stessa falsariga di BPB/TERCAS. Cioè prendere una banca sana (o presunta tale) e chiamarla a farsi carico di una banca in difficoltà. Dai nomi delle banche appena elencate, non pare sia stata una buona idea.

  • Sappiamo di non sapere quando è il momento in cui l’attività di vigilanza deve chiudere le tribune ed impedire l’accesso del pubblico o favorirne preventivamente l’evacuazione ordinata (per restare in metafora). L’esperienza della liquidazione delle banche venete e della ricapitalizzazione precauzionale di Mps a carico dello Stato, ci ha insegnato che la linea rossa, varcata la quale si deve suonare la sirena, è piuttosto mobile. Tutti ricorderete il famoso ‘Mps è risanata, ora investire è un affare’ pronunciato da Matteo Renzi il 22 gennaio 2016. Per tutto quell’anno si inseguirono voci su un’operazione di mercato finalizzata a portare grandi investitori internazionali (il famoso fondo del Qatar) nel capitale di Mps. Finì tutto miseramente a luglio 2017 con lo Stato costretto ad intervenire, probabilmente con somme maggiori di quelle necessarie 18 mesi prima, e gli obbligazionisti subordinati costretti a subire una conversione in azioni e quindi, di fatto, una falcidia (burden sharing) in ossequio alle norme europee. Per non parlare delle somme investite e bruciate dai fondi Atlante 1 e 2 nelle banche venete. Stesso film per la BPB. Per tutto il 2018 e 2019 si sono inseguite voci relative a piani di rafforzamento del capitale grazie a provvidenziali ‘cavalieri bianchi’. Piani che facevano a sportellate con la realtà: chi mai investirebbe in una banca in quelle condizioni da anni, con sofferenze lorde per circa €2 miliardi coperte al 40% circa, e quindi con sofferenze nette pari a €1,2 miliardi, pari a 3 volte il patrimonio netto? Quali ingenti svalutazioni e tagli dei costi avrebbe dovuto richiedere per avere un decente rendimento del capitale investito? A Bari, così come ad Arezzo, Vicenza, Siena, la linea rossa, oltre la quale bisogna solo pensare ad un ordinato intervento dello Stato, in nome della tutela costituzionale conferita al bene risparmio, pare essere stata oltrepassata da parecchio. Nondimeno, è lo Stato che si deve fare carico di perseguire chi ha male amministrato o ha male vigilato. Anche se bisogna ammettere che il regolatore rischia di sbagliare sempre: sia quando sgombra le tribune o le chiude preventivamente e poi non accade nulla, sia quando le tribune crollano.
  • Sappiamo di sapere che il 13 dicembre la banca è stata commissariata ed il 15 dicembre il Governo ha emanato un decreto legge che prevede la dotazione di €900 milioni a favore di Invitalia (agenzia di proprietà del Ministero dell’Economia) affinché quest’ultima capitalizzi la controllata Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale SpA (MCC). La banca così capitalizzata potrà assumere partecipazioni in istituzioni finanziarie (anche del Mezzogiorno) secondo “…criteri di mercato…”. Tali partecipazioni potranno poi confluire, previa scissione, in un una nuova società le cui azioni saranno direttamente di proprietà del MEF.

A questa decisione si è aggiunta quella del 18 dicembre del Comitato di gestione del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) che ha espresso una valutazione favorevole affinché il Consiglio deliberi l’erogazione di un sostegno finanziario alla Banca Popolare di Bari, che potrebbe raggiungere anche €500 milioni, attraverso la sottoscrizione di un’obbligazione subordinata AT1.

  • Sappiamo di non sapere perché il FITD, come riportato dalla stampa, dovrebbe intervenire senza ricorrere allo Schema Volontario (come accaduto per Carige). Significa forse che la situazione è talmente compromessa che non c’è bisogno di passare per veicoli particolari ma il FITD interviene per adempiere al suo ruolo istituzionale di garanzia dei depositanti?
  • Sappiamo di non sapere cos’altro è accaduto il 13 dicembre. Dal famoso audio registrato il 10 dicembre, ma anche da quanto riportato da Nicola Porro sul suo sito, emerge un quadro di sostanziale controllo della situazione. Con tanto di carta intestata di Bankitalia, erano illustrate iniziative tattiche (sottoscrizione obbligazione AT1 da parte del FITD entro fine dicembre e cessione crediti problematici a MCC) e strategiche (trasformazione in SpA ed ingresso di MCC entro maggio 2020). Giovedì 12, il presidente di BPB, Gianvito Giannelli, parlando ad un convegno a Bari si scusò per il suo ritardo, parlando di un consiglio che si era protratto a lungo ma il cui esito era stato ‘risolutivo’. Poi, all’improvviso venerdì pomeriggio l’escalation con la convocazione degli amministratori da parte di Bankitalia e la nomina dei Commissari e, la sera stessa, il disastroso esito di un Consiglio dei ministri che non riuscì a deliberare perché, aldilà dell’occasione per regolare certi vecchi conti all’interno del Pd, la sorpresa fu grande anche per parecchi ministri. Allora cosa è accaduto? C’entra forse qualcosa l’esito dell’ispezione approfondita in corso sui crediti dallo scorso giugno? C’entra forse qualcosa il fatto che la Consob chiede da tempo la divulgazione dei conti aggiornati della banca e questa ha giustificato il proprio diniego con quanto previsto dal regolamento Market Abuse Regulation che consente di ottenere un ritardo nel caso in cui le informazioni possano determinare un ‘rischio sistemico’ (come confermato anche da Bankitalia)? L’uso di quelle parole apre la porta agli scenari più inquietanti sulla reale portata delle perdite patrimoniali della BPB e saranno i Commissari a rivelarne a breve l’effettiva entità.
  • Sappiamo di sapere quale potrebbe essere il destino dell’azienda bancaria che verosimilmente continuerà ad operare con nuovi organi di direzione e controllo e nuovi azionisti di controllo (MCC), ma sappiamo di non sapere cosa accadrà ad azionisti ed obbligazionisti subordinati (circa €290 milioni, di cui 2/3 presso risparmiatori al dettaglio). È poco probabile che siamo in presenza di una ricapitalizzazione precauzionale sul modello di Banca Mps: in quel caso la banca era in bonis. Qui i dubbi sono numerosi. È più probabile che ci si avvii verso l’alternativa tra risoluzione secondo la direttiva BRRD o, meno probabile, liquidazione coatta amministrativa (LCA) sul modello delle banche venete. Tutto dipende dalle perdite che sveleranno i Commissari. Su questo tema, l’approfondimento di Bankitalia è stato tranciante: la liquidazione senza cessione di attività e passività ad un’altra banca provocherebbe la falcidia anche di parte dei depositi superiori a €100mila (oltre ovviamente ad azioni ed obbligazioni) e costringerebbe il FITD al rimborso di €4,5 miliardi a favore di depositanti sotto €100mila. La continuità operativa della banca, con passaggio ad altra banca, deve necessariamente prevedere l’intervento dello Stato. La scelta tra risoluzione e LCA dipenderà dalla valutazione del rischio per la stabilità sistemica e dall’importanza di continuare ad assicurare i servizi finanziari della banca. La risoluzione prevede anche l’intervento dello Stato, previo sacrificio di azionisti ed obbligazionisti fino al 8% del passivo. In ogni caso, la risoluzione non potrà comportare per i creditori della banca un esito peggiore rispetto alla LCA. È forse il caso di notare che il patrimonio netto della BPB al 30 giugno era di circa €420 milioni. Se consideriamo che le sofferenze nette sono pari a €1,2 miliardi e che i crediti in bonis sono pari a circa €7 miliardi, ci vuole poco a capire che il rischio di applicare per la prima volta il bail-in è piuttosto elevato o, in alternativa, di assistere ad un’operazione simile a quelle delle banche venete, in cui il sacrificio degli obbligazionisti subordinati, unitamente a €4,8 miliardi di contributo dello Stato a Banca Intesa San Paolo (e €12 miliardi di garanzie), consentì di salvare i depositanti e le aziende bancarie. Tutto sommato, il conto della BPB dovrebbe essere ben inferiore.
  • Infine, sappiamo di sapere che quel “…secondo criteri di mercato…” messo in bella evidenza nel decreto legge di domenica 16 dicembre, è destinato con buona probabilità a rimanere nel libro delle buone intenzioni. La situazione della banca è tale che, secondo criteri di mercato, è molto probabile che nessuno ci metterebbe una lir… euro e quindi quei 900 milioni dovranno andare sotto la tagliola della Vestager che speriamo che almeno questa volta ci risparmi i tempi lunghi della vicenda Tercas. A quel punto i cittadini italiani potranno ancora una volta valutare se le regole della Ue sono rispettose degli interessi nazionali e se sono applicate allo stesso modo anche negli altri Paesi.

 

 

Perché non convincono tesi e parole della Banca d’Italia su Vigilanza e Banca Popolare di Bari. L’analisi di Giuseppe Liturri

La Banca d’Italia è da sempre uno degli snodi cruciali della vita economica del nostro Paese. Molto è cambiato da quando essa fa parte dell’Eurosistema ed è di fatto una ‘filiale’ della Banca Centrale Europea, ma il peso resta tuttora rilevante. Ogni intervento pubblico del suo governatore è sempre al centro dell’attenzione dei media e della comunità finanziaria per la sua autorevolezza.

Tuttavia, sono numerose le perplessità su quanto dichiarato nelle ultime settimane a proposito di Meccanismo Europeo di Stabilità e della crisi della Banca Popolare di Bari (BPB). Dopo aver scritto dettagliatamente sul primo episodio, l’intervista rilasciata lunedì 23 dicembre al Corriere della Sera inanella una serie di affermazioni che hanno lasciato allibiti numerosi addetti ai lavori e che non reggono alla prova dei fatti. Ignazio Visco sembra il novello Cicero pro domo sua.

Ecco il commento ai passaggi più significativi.

“… La vigilanza sulle banche ha svolto il suo compito, con il massimo impegno e io reputo positivamente. La scelta di porre in amministrazione straordinaria questa banca è il risultato, come sempre in questi casi, di un’attenta analisi, è un atto possibile in termini di legge solo dopo aver rilevato gravi perdite o carenze nei sistemi di governo societario”.

Questa affermazione fa a pugni con quanto dichiarato nel documento di approfondimento pubblicato da Bankitalia il 16 dicembre, in cui si parla di ‘stasi operativa’, ‘forti conflittualità’ tra gli organi di direzione e controllo della banca e ‘stallo gestionale’, tutto già in atto tra le fine del 2018 e l’inizio del 2019. Strano che quelle situazioni non fossero stare ritenute sufficienti per il commissariamento almeno 10/12 mesi fa. Cos’altro sarebbe dovuto accadere per adottare il provvedimento sin da quel momento? A via Nazionale attendevano che il consiglio rivelasse di indossare una cintura con esplosivo e fosse sul punto di azionarla? Secondo Visco, quando è possibile definire tardivo un intervento? Quando la banca è totalmente insolvente? Il Testo Unico Bancario (TUB) è infarcito di articoli che forniscono ampio potere di iniziativa alla Banca Centrale, anche e soprattutto preventivo.

“…Ma la vigilanza non può intervenire nella conduzione della banca, che spetta agli amministratori scelti dagli azionisti. La banca deve seguire delle regole, la vigilanza verifica che ciò effettivamente accada…”

Stupisce che si ritenga opportuno ribadire l’ovvio. E quando la vigilanza riscontra l’effettiva violazione di regole, come desumibili dalle deliberazioni della Consob del settembre 2018, con le quale si sanzionano gli amministratori con oltre €2 milioni (confermati in Corte d’Appello) per le condotte relative all’aumento di capitale del 2014/15, cosa fa? Consente che numerosi amministratori (Presidente in testa) siano confermati dall’assemblea dei soci nel 2019 ed addirittura consente che quegli stessi amministratori negozino con MCC e FITD il piano di rafforzamento del capitale. Secondo Visco, questo è un modo appropriato di vigilare?

“…Dal 2007 abbiamo posto in amministrazione straordinaria circa 80 intermediari: più della metà è tornata alla gestione ordinaria, per quelli liquidati o aggregati con altre banche, non vi sono state, nella generalità dei casi, perdite per depositanti e risparmiatori….”

Stupisce come non siano stati così solerti anche con la BPB. Qui incredibilmente Visco omette di specificare che le perdite per i risparmiatori ci sono state, eccome. È pur vero che i depositanti sono rimasti indenni, ma le perdite imposte ad obbligazionisti subordinati delle 4 banche assoggettate a risoluzione nel novembre 2015, delle 2 banche venete liquidate nell’estate 2017 e di MPS (seppur convertite in azioni) hanno costituito una epocale distruzione di valore mai capitata prima di allora a soggetti diversi dagli azionisti, i cui effetti si sono propagati a tutto il settore bancario il cui indice di borsa nel 2016 scese del 60% ed è tuttora alla metà rispetto ai massimi del 2015.

“… La soluzione ordinata delle crisi bancarie, di per sé non semplice, è complicata dal nuovo approccio europeo in materia di gestione delle crisi e aiuti di Stato. Ma questo non ha niente a che fare con l’essere arbitro e giocatore…”.

Peccato che il ruolo di Bankitalia avrebbe dovuto essere quello di sostenere la negoziazione del governo nel confronto con la UE su questi temi. Chi, se non loro, avrebbero dovuto argomentare con forza che applicare il divieto di aiuti di Stato ad una banchetta con 4 miliardi di raccolta come TERCAS era una autentica follia giuridica ed economica, come ha poi riconosciuto il Tribunale UE? Vogliamo parlare del ruolo avuto durante la trattativa per il bail-in? In cui, solo dopo, a frittata fatta, hanno dichiarato di essere stati sempre contrari. Troppo comodo considerarlo come un fatto esogeno piovuto dall’alto, mentre loro… sparecchiavano (per citare la famosa ammissione della figlia del Conte Mascetti nel film ‘Amici miei’).

«… sono consapevole che quando le banche non ce l’hanno fatta (per la recessione, per governance inadeguata, per comportamenti scorretti) vi sono stati effetti gravi, soprattutto per gli azionisti. Per i depositanti invece non vi sono state conseguenze e per la gran parte degli obbligazionisti alla fine sono state contenute le perdite…”.

Le perdite sono state ‘contenute’ (obbligazioni rimborsate al 85% sotto specifiche condizioni) solo perché lo Stato ha dovuto ammettere che la vendita in massa di quei titoli era avvenuta con modalità truffaldine, truccando o forzando i profili Mifid dei risparmiatori. Peccato però che i regolatori, come Bankitalia, sapessero tutto e fossero stati avvertiti dai supervisori europei.

“…ma deve migliorare la comprensione da parte del pubblico che un investimento finanziario comporta sempre un rischio. Da parte delle banche questo rischio deve essere sempre adeguatamente rappresentato…”.

Doppio no: il regime di vigilanza del settore finanziario e la tutela costituzionale ex art. 47 fanno sì che il risparmiatore debba essere pubblicamente tutelato. Altro che comprensione ed educazione finanziaria. E se le banche non rappresentassero adeguatamente tali rischi? Dovrebbe esserci la vigilanza ad impedirlo, no?

…Decisioni come quella di realizzare un’acquisizione sono di esclusiva competenza e responsabilità del vertice delle banche. Nei casi di difficoltà di un intermediario, qualora non sia possibile una ricapitalizzazione sul mercato, è prassi delle autorità di vigilanza esplorare la possibilità di un acquisto da parte di altre banche…”

Qui entriamo nel vivo della galleria degli orrori dell’operazione TERCAS. Ma davvero Visco vuole farci credere che non conosciamo la differenza tra decidere un’acquisizione e vedersela autorizzata da Bankitalia, cose ovviamente ben diverse? Perché a Popolare di Sondrio è stata vietata ad ottobre scorso l’acquisizione di CariCento, dieci volte più piccola, con la motivazione che la banca doveva prima provvedere ad abbassare i rischi presenti in bilancio? Quando vuole, Bankitalia può. Ma soprattutto, chi ha stabilito quella ‘prassi’ di esplorare il mercato alla ricerca di potenziali compratori, in quale norma è previsto questo potere di Bankitalia? Infine, come non cogliere la contraddizione tra la prima e l’ultima parte del periodo: le banche sono autonome nelle loro scelte di espansione o si fanno suggerire le operazioni da Bankitalia, come desumibile nella seconda parte?

“…Alla fine dello stesso mese venne considerata la manifestazione di interesse dei vertici della Popolare di Bari, che poi decisero di realizzare l’operazione in base a una autonoma valutazione, negoziando e ottenendo dal Fondo Interbancario di Tutela dei depositi il contributo ritenuto necessario per l’acquisizione…”

Quindi fu tutta un’iniziativa della BPB? Peccato che il bilancio 2014 della banca barese testualmente recitasse “…nell’ottobre 2013 la banca è stata CHIAMATA a valutare una possibile operazione di acquisizione di TERCAS…”. Chiamata da chi? Da un passero solitario? O forse da Bankitalia che ‘per prassi’ esplorava tali possibilità? Da notare la straordinaria coincidenza del divieto all’effettuazione di acquisizioni rimosso da Bankitalia proprio poche settimane prima dell’inizio del processo di acquisizione della TERCAS.

“…Naturalmente alla fine di un percorso si corre il rischio di emettere giudizi di autoassoluzione o di ragionare con il senno del poi; noi facciamo il massimo per tenere costantemente sotto controllo le diverse situazioni e valuteremo se ci siano stati errori anche da parte nostra…”

Che nel linguaggio felpato di Bankitalia, forse significa ammettere che l’hanno fatta grossa.

“…Nel caso di Tercas l’intervento del Fondo interbancario è stato ritenuto dalla Commissione europea un aiuto di Stato; per questo motivo l’operazione è stata completata solo quando l’intervento del Fondo è stato realizzato con il cosiddetto “Schema Volontario”. Ciò ha ritardato l’integrazione di Tercas nella Popolare di Bari, generando incertezze e con oneri certamente maggiori…”

La vicenda dell’aiuto di Stato, pagina vergognosa dei nostri rapporti con la UE, grida ancora vendetta; d’accordo. Ma si presta malamente al ruolo di foglia di fico per coprire il disastroso esito dell’acquisizione. Infatti, il contributo del FITD inizialmente erogato nel luglio 2014, è stato contestualmente restituito e nuovamente ricevuto per pari importo nel febbraio 2016, ad opera dello Schema Volontario del FITD stesso costituito già a fine 2015. BPB è entrata in TERCAS il 1 ottobre 2014 e sicuramente 14 mesi di stallo hanno provocato danni (il miliardo di raccolta volato via, di cui parlò il presidente Jacobini quando a marzo scorso fu pubblicata la sentenza del Tribunale UE che annullava la decisione della Commissione). Ma tutto ciò appare una pagliuzza di fronte alle trave di € 3 miliardi di crediti deteriorati lordi esposti dalla banca post acquisizione nel 2015 (contro €1,2 del 2013, pre acquisizione) o 1,5 miliardi di crediti deteriorati netti (contro €0,7 del 2013).

“…In secondo luogo la ricapitalizzazione della Popolare di Bari non ha potuto avere luogo sul mercato perché la banca non si era trasformata in società per azioni come richiedeva la legge di riforma da noi fortemente caldeggiata e realizzata dal governo nel gennaio 2015. L’assetto delle “popolari” è un problema che abbiamo sempre sottolineato con forza: ostacola l’accesso al mercato e favorisce opacità e autoreferenzialità nella governance…”

Questo è un altro mito da sfatare, con un incredibile errore nelle date; infatti la riforma delle Popolari ad opera del governo Renzi è del gennaio 2016. Nel 2013/14/15, quando la BPB ha fatto gli aumenti di capitale, la riforma non esisteva ancora. Ma ove mai quella riforma fosse esistita e quindi ci fosse stato accesso al mercato con una banca contendibile, qualcuno vuole credere che un privato investitore, di fronte a quella massa di crediti deteriorati e modesta redditività non avrebbe chiesto uno sconto così consistente, tale da far precipitare ancora più rapidamente il valore degli investimenti dei vecchi azionisti? Infine, quella riforma, tanto decantata, fu pesantemente censurata dal Consiglio di Stato nel dicembre 2016 e, tra i tanti motivi, si segnalava il ruolo troppo ingombrante di Bankitalia in tutto il processo, spesso in violazione di norme costituzionali.

“…Questo lo dice chi non conosce le regole. La Banca d’Italia aveva concesso a Tercas un prestito a titolo di liquidità di emergenza, in base alle norme italiane ed europee. Questo tipo di finanziamento, di competenza delle banche centrali nazionali ma sottoposto a valutazioni del Consiglio direttivo della Bce, deve essere assistito da adeguate garanzie, che rendono il rischio per le banche centrali nullo o al più trascurabile. La Popolare di Bari è semplicemente subentrata nel finanziamento, con le medesime garanzie, senza quindi modifiche alla rischiosità del prestito…”

Questo passaggio è davvero imbarazzante, poiché il problema non è la modifica alla rischiosità del prestito, ma il fatto che quel prestito sia stato fatto e che sia finito a rimborsare Bankitalia. Visco si riferisce ad un finanziamento rimborsato da TERCAS a Bankitalia nel novembre 2013, si badi bene ad acquisizione non avvenuta e solo alle prime fasi. TERCAS aveva ottenuto quella somma (€480 milioni) proprio da BPB con un finanziamento ad hoc. Quindi ben prima che l’acquisizione fosse perfezionata, BPB si era sostituita a Bankitalia come finanziatore di TERCAS (ovviamente ricevendo lo stesso tipo di garanzie, come sottolinea Visco). Ma come non vedere l’enormità del fatto che BPB versa a TERCAS, ben prima dell’acquisizione, una somma utilizzata contestualmente per togliere il cerino dalle mani di Bankitalia che era anche il soggetto investito del potere di autorizzare l’acquisizione? Con l’aggravante data dal fatto che poi quel finanziamento di BPB sarà pure utilizzato in parte per sottoscrivere l’aumento di capitale di TERCAS nel 2014. In sostanza, la finanza per l’aumento di capitale di BPB in TERCAS arrivò ben prima dell’acquisizione che, verosimilmente, a quel punto non poteva più saltare.

“… La scelta dei componenti degli organi sociali è di esclusiva responsabilità dell’azienda; la Banca d’Italia verifica la sussistenza in capo ai singoli esponenti dei requisiti previsti dalla legge. Le disposizioni in vigore prevedono ipotesi tassative per la determinazione della mancanza di tali requisiti. Il nuovo regime europeo sui requisiti degli amministratori bancari — che concede discrezionalità alle autorità di vigilanza — è stato recepito nell’ordinamento italiano, ma entrerà in vigore solo dopo l’emanazione delle norme attuative da parte del ministero dell’Economia e delle Finanze. La Banca d’Italia ha segnalato — pubblicamente e ripetutamente — l’importanza di questa materia. Lo ripeto: le regole attuali non ci consentono di intervenire, esercitando discrezionalità, al di fuori dei confini normativi. La vigilanza può ricorrere alla moral suasion, e nel caso della Popolare di Bari ha espresso chiaramente al presidente del consiglio di amministrazione le proprie perplessità sull’opportunità del rientro dell’ingegner De Bustis tre anni dopo che aveva lasciato la banca».

Anche su questo ci sono numerose perplessità. Visco sostiene di avere dalla sua solo la possibilità di esercitare una moral suasion, non potendo esercitare la discrezionalità consentita da una legge in vigore ma priva di norme attuative. È una foglia di fico che non regge. Nessuna banca si muove in direzione contraria rispetto alle indicazioni di Bankitalia, meglio ancora se informali. E se e quando ci sono episodi di cattiva gestione o governo aziendale fuori controllo, arrivano i commissari. Punto.

«…L’amministrazione straordinaria rappresenta un intervento di vigilanza forte, in cui si destituiscono gli organi amministrativi scelti dagli azionisti; si interviene quando altri meccanismi — quali il vaglio del collegio sindacale, delle società di revisione, dell’assemblea dei soci — non hanno la necessaria efficacia. È per questi motivi che l’amministrazione straordinaria può essere adottata solo quando ne ricorrano i termini definiti con precisione dalla legge. Il commissariamento della Bari è stato disposto quando le perdite hanno ridotto i livelli di capitale al di sotto dei minimi stabiliti dalle regole prudenziali. La discesa del capitale al di sotto dei minimi non si era registrata negli anni precedenti, nonostante le difficoltà della banca; è emersa solo a seguito dell’ultimo accertamento ispettivo effettuato nei mesi scorsi dalla Banca d’Italia…”

Tutto ciò è stupefacente; per quanto già commentato in precedenza. Da un lato Bankitalia accerta situazioni di non conformità sin dal 2010, dall’altro lascia che la BPB faccia un’acquisizione di rilevante entità rimuovendo il divieto perdurante da diversi anni. A via Nazionale il concetto di tempestività deve essere proprio relativo.

“…L’intervento del Fondo Interbancario e del Mediocredito centrale è volto a evitare scenari liquidatori e possibili perdite per i risparmiatori che detengono depositi e obbligazioni. Gli azionisti partecipano al capitale di rischio: il piano industriale definirà la misura dell’aumento di capitale necessario, le modalità di realizzazione e il coinvolgimento degli attuali azionisti. Ricordo che sono decine di migliaia di persone: la Banca d’Italia negli anni scorsi ha accertato — dandone informazione alla Consob, che ha irrogato sanzioni — irregolarità nell’adeguatezza degli investimenti della clientela; di questo si dovrà tenere conto…”

In un mondo normale, Bankitalia avrebbe dovuto sapere che BPB, non avendo accesso al mercato degli investitori istituzionali per la sua forma cooperativa, sarebbe stata costretta a raccogliere capitali presso la propria base sociale e piccoli risparmiatori del territorio e quindi avrebbe dovuto porre, insieme alla Consob, un particolare presidio affinché fossero rispettate le regole sull’adeguatezza dei profili. Andava scritto sui prospetti a caratteri cubitali qualcosa simile di a ‘ATTENTI, IL FUMO UCCIDE’. Non è possibile, commentare dopo, come un qualsiasi soggetto di passaggio, il disastro avvenuto e pensare di tenerne conto rifondendo gli azionisti truffati, ammettendo implicitamente di non aver sufficientemente vigilato. Da aggiungere inoltre che il FITD, nel suo comunicato specifica senza tanti giri di parole che il via libera al suo intervento è avvenuto solo perché, con la nomina dei commissari, c’è stata discontinuità nella gestione aziendale. Quale altro segnale si vuole ancora per avere conferma del fatto che quel vertice aziendale non avrebbe dovuto essere là da parecchio tempo addietro?

“…Voglio sottolineare che noi abbiamo collaborato, stiamo collaborando e continueremo a collaborare con la Procura. Di questa indagine io sono all’oscuro, come lo è l’intera struttura della vigilanza e della consulenza legale della Banca d’Italia. Non intendo quindi commentare voci e illazioni…”

C’è segreto d’ufficio da rispettare. Doveroso e comprensibile.

“…il problema è che abbiamo un sistema di gestione delle crisi inadeguato. Per poter gestire una crisi non basta saperla prevedere, occorrono strumenti. Chiedo da tempo di intervenire a livello europeo con nuove norme. È necessaria una nostra presenza assidua nel dibattito europeo, che a sua volta richiede una continuità di natura politica che purtroppo non abbiamo. Come Governatore mi sono confrontato con sette ottimi ministri dell’Economia, mentre quelli degli altri Paesi erano quasi sempre gli stessi…”

Su questo Visco non ha tutti i torti. In Europa continuiamo a manifestare solo subalternità ed accondiscendenza. Resta da capire se questo nostro stato dipende dal debole sostegno fornito dall’organo tecnico nelle trattative più delicate, come ebbe a dichiarare Matteo Renzi dopo le ultime crisi bancarie.

“… Si fonda sulla fiducia, una fiducia che oggi si misura con lo spread ed è assurdo che noi abbiamo uno spread doppio rispetto a Spagna e Portogallo. Se il tasso d’interesse alto dipende da rischi di tipo sovrano bisogna eliminarli rapidamente. Ci vuole un impegno per una discesa del debito graduale ma progressiva e costante; soprattutto servono azioni strutturali di rilancio dell’economia. Come diceva Ciampi, non abbiamo rinunciato alla nostra sovranità ma abbiamo deciso di condividerla. Per avere successo dobbiamo essere lungimiranti, credibili, coerenti e capaci di dialogare con un’opinione pubblica incerta e che nella sua incertezza coinvolge tutta l’economia, compresa la Banca d’Italia..”

La chiusura è intonata al resto dell’intervista. L’organo istituzionale che dovrebbe ridurre l’incertezza, che dovrebbe, per definizione, eliminare l’esistenza del rischio sovrano che dovrebbe essere limitato solo ad un rischio di tasso di interesse, ma non di insolvenza, commenta le distorsioni attuali dal punto di vista dello spettatore e non del protagonista che dispone delle leve per risolverle. Fino al punto da affermare che l’incertezza dell’opinione pubblica coinvolge anche la Banca d’Italia, che dovrebbe invece gestirla e ridurla.

Sparecchiavo… Disse la figlia del Conte Mascetti.

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