Ospito anche oggi il mio anonimo amico. Uno che ha lavorato per lo Stato sull’ immigrazione e sui reati commessi da immigrati.

 

matteo salvini

 

 

Procediamo con i nostri ragionamenti, basati solo su fatti e non su analisi svolte o dati elaborati da altri, per cercare di dare al cittadino comune un metodo per poter districarsi nella molteplicità di informazioni, anche spesso provenienti da fonti autorevoli, ma che esprimono in ogni caso opinioni molto differenti tra loro. Sulla base di eventi storici abbiamo dedotto, con un semplice ragionamento logico, che gli “italiani” non sono un popolo razzista, certamente non lo sono più della media di tutti gli altri popoli.

Se questa è la conclusione delle nostre considerazioni logiche, il cittadino comune non può fare a meno di domandarsi come mai allora, ogni volta che si affrontano argomenti sociali di un certo tipo, il pericolo del razzismo venga continuamente tirato fuori con il fine di indirizzare l’opinione pubblica (ovvero appunto il comune cittadino) verso scelte specifiche. Come detto il concetto di “razzismo” nel nostro paese sta indirizzando scelte politiche e sociali di rilevanza storica, non solo in termini di immigrazione ed appartenenza alla Unione Europea, ma anche in ambiti scientifici e sanitari ed economici. Pertanto l’argomento “razzismo” è un argomento decisamente attuale anche per come è stata affrontata, ad esempio, l’emergenza pandemia. Su quest’ultimo argomento, la pandemia, ne parleremo nei prossimi incontri, per una questione appunto di conseguenze logiche nei ragionamenti.

Procedendo per passi logici, affrontiamo il problema dell’immigrazione “globale”, ovvero la possibilità per chiunque di poter decidere di spostarsi e vivere in qualunque posto del nostro pianeta.

Partiamo proprio da questo principio, ovvero il diritto per chiunque di poter decidere dove vivere ed anche di come vivere. Un principio certamente astrattamente valido. Per aiutare nel ragionamento logico partiamo da presupposti ideali, ovvero, immaginiamo effettivamente il pianeta come un unico sistema politico e sociale in cui ciascun essere umano ha il sacrosanto diritto di poter vivere la propria vita nel modo che egli ritenga il più dignitoso possibile. Di fronte a questo principio e a questa prospettiva ideale, nessuno ritengo potrebbe mai opporre una valida risposta contraria.

Questo diritto è sacrosanto. Restiamo nel mondo ideale, ovvero unica società globale uniformata in tutto, regole, leggi, economie etc. Appare immediatamente evidente che, tolte alcune fluttuazioni statistiche, potendo scegliere, la stragrande maggioranza della popolazione del pianeta preferirebbe vivere in luoghi del pianeta dove il clima sia più mite, dove le città siano più belle, certo nessuno preferirebbe vivere in zone aride, desertiche, oppure impervie (tolte come detto alcune fluttuazioni di popolazione). Diciamo che su 7 miliardi dell’intera popolazione mondiale, attuale, più della metà sceglierebbe gli stessi luoghi, le stesse aree del pianeta. In parte è già cosi, ma dobbiamo immaginare una distribuzione senza limiti di distanza, costi di viaggio, infrastrutture etc. Supponiamo che le risorse locali, ambientali, economiche e nutrizionali in quei luoghi siano in grado di soddisfare questa distribuzione non uniforme della popolazione mondiale. L’incremento della popolazione stessa (perché anche il diritto alla nascita è inalienabile, pertanto non si può pensare, in questo contesto ideale, di limitare le nascite e l’aumento della popolazione mondiale) determinerebbe ad un certo punto una perdita di equilibrio tra le scelte di ciascuno e l’effettiva sostenibilità ambientale, economica, sociale. Questi sono ragionamenti semplici, che valgono in effetti a prescindere da quale sia la distribuzione delle scelte della popolazione globale su dove vivere. Esisterà sempre un limite, qualunque esso sia, oltre il quale non si potrà andare.

Quindi in un mondo ideale, considerando solo uno dei due parametri di scelta, il “dove” vivere, concettualmente si arriva facilmente ad un paradosso, logico, ovvero: non è possibile che “tutti” possano vivere in uno stesso posto. A questo dobbiamo aggiungere l’altro parametro di scelta, ovvero “come” vivere. Diciamo che in un mondo ideale deve certamente restare un principio indissolubile, ovvero quello che la libertà personale è limitata dalle libertà altrui, ovvero qualunque sia la scelta di un singolo essere umano, essa non potrà mai prevaricare i diritti di un altro essere umano. Quindi il “come” vivere deve essere comunque limitato al concetto semplice, purché non leda i diritti altrui, quindi ovviamente non vivere svolgendo attività illegali ad esempio. Se si presuppone che in un mondo idealmente globalizzato, ognuno possa svolgere una attività lavorativa legale e dignitosa utile alla società, anche in questo caso, escluse le attività illegali, arriviamo ad un paradosso in cui non tutti possono fare quello che realmente vorrebbero ma devono potersi adeguare alle esigenze del sistema società.

Allora ecco che assumendo per sacrosanto un diritto ideale in cui ogni essere umano possa scegliere dove vivere e come vivere, anche in un mondo ideale, raggiungeremmo dei paradossi in cui questo non sarebbe effettivamente possibile.

A questo punto potremmo iniziare a porre le infinità di paletti dovute alle regole di mercato, alla sicurezza, alla sostenibilità economica di ciascun paese (Nazione), alle differenti leggi dove quegli stessi principii ideali, che perdono di coerenza anche in un mondo ideale, ancor di più vengono messi in discussione.

Ma restiamo al nostro paese e proviamo ad abbracciare le ragioni di chi ritiene sia giusto aprire a chiunque l’accesso al nostro sistema, senza fare alcuna considerazioni sulle modalità di arrivo, ne tantomeno alcun tipo di selezione sulle persone che decidessero di voler venire a vivere nel nostro territorio. Perciò idealmente accettiamo l’idea di una immigrazione libera verso il nostro Stato.

Chiediamo, a chi perora questa causa, quale è il limite di persone che ritenga di poter accettare in ingresso, in quanto, come detto, non è pensabile che 7 miliardi di persone possano venire a vivere tutte in Italia. Ovviamente questo è un estremo ragionamento ma che, senza arrivare al numero dell’intera popolazione mondiale, effettivamente crea un limite, qualunque esso sia; ovvero, domani si dichiara che chiunque voglia venire nel nostro paese lo possa fare, garantendogli il viaggio ed una vita dignitosa. Esisterà comunque un limite oltre il quale non si potrà andare e, raggiunto quel limite, questo principio perde di validità perché a quel punto anche chi oggi si dichiara per l’apertura totale dovrà dire “adesso basta”. Se si è stabilito che il nostro paese possa ospitare dignitosamente, ad esempio, dieci milioni di persone, arrivati a dieci milioni più “uno” quell’uno in eccesso vedrà irrimediabilmente limitato il suo diritto.

Senza aver preso alcun dato, senza aver fatto alcun ragionamento politico o sociale, ma semplicemente ragionando su dei concetti molto semplici, ecco che comunque si osservi la questione dell’immigrazione, dei “limiti” ci saranno e ci dovranno essere. Il punto è “quali limiti”?

Allora viene immediato chiedersi perché nelle due posizioni attuali pro e contro immigrazione (in realtà un “certo” tipo di immigrazione) chi si pone nella posizione del “contro” viene immediatamente tacciato di razzismo? Proprio in un paese in cui, con ragionamenti precedenti abbiamo stabilito che il popolo italiano non è storicamente più razzista di qualunque altro popolo sulla terra? In un paese in cui l’immigrazione c’è da decenni senza che ciò abbia comportato, fino a pochi anni fa, qualche forte squilibrio sociale?

Il comune cittadino ha, o dovrebbe avere, a questo punto tutti gli strumenti per iniziare una analisi più approfondita e comprendere che chi perora la causa dell’immigrazione libera, o non ha chiaro il problema, oppure nasconde un fine diverso.

Nello specifico, quel che accade da alcuni anni è un ingresso di persone attraverso vie non legalmente riconosciute e che determina un rischio della vita per quelle stesse persone, per poter raggiungere il continente europeo. Anche qui volendo abbracciare il pensiero di chi pone, giustamente, la salvaguardia della vita di queste persone sopra ogni altra considerazione, non possiamo non porci il problema, concettuale, che questo traffico se mantenuto, se incentivato, non avrà fine, o potrebbe non avere una fine nei limiti che in ogni caso si potrebbe decidere di stabilire; tanto per intenderci i 600 mila, attualmente considerati indispensabili per motivi umanitari ed economici, da regolarizzare sul nostro territorio. Supponiamo di dare ragione al Ministro che ha fatto questa proposta, cosa accadrà con i prossimi 600 mila? E con i 600 mila dopo? Si arriverà ad un punto, come detto, in cui delle misure dovrebbero necessariamente essere prese anche da chi “oggi” perora questa causa, perché è una conseguenza naturale. Allora perché parlare di “razzismo” quando questa locuzione non ha assolutamente nulla a che vedere con ciò che sta avvenendo?

In questo incontro volutamente non si è fatto riferimento a dati, anche ufficiali, sulla criminalità da parte di cittadini stranieri, sul degrado, sullo spaccio, sulle mafie straniere, sullo sfruttamento da parte di chi organizza i viaggi illegali, sulle mancanze di controlli, di selezione, sull’impatto sociale di migliaia di persone senza alcuna tutela, o con tutele non eque, sul nostro territorio, sull’effettivo aiuto a certe popolazioni, sul terrorismo islamico e soprattutto al senso morale di aiutare solo chi riesce a raggiungere certe “reti” illegali e non altri, ne si propongono politiche sociali o soluzioni.

Come detto questi incontri hanno lo scopo di fornire al comune cittadino dei mezzi di logica deduzione, per potersi poi successivamente fare una idea propria della situazione.

Di certo quel che si può affermare è che oggi il problema dell’immigrazione nel nostro paese nulla ha a che vedere con il razzismo, ma ben altre sono le ragioni che muovono le parti sociali.

 

 

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