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Si vis pacem, para bellum – se vuoi la pace, prepara la guerra – ci ammonivano i padri che abbiamo dimenticato. Evidentemente, impegnati come siamo a preparare la pace, vogliamo la guerra. Che continuiamo a combattere con il dovuto rispetto per un nemico a noi marziano e con l’arme della benevolenza, con i distinguo di Augias, dell’Annunziata e di Rula Jebreal, l’invito all’ascolto della Boldrini e di Fazio, spalleggiati dagli illuminati profeti del progressismo internazionale come dalla solidarietà dell’Islam moderato. Gli avversari, al contrario, mostrano fair play filo-occidentale seguendo il motto silent leges inter arma, prendendo a prestito e reinterpretando la cultura ricreativa dello sport utility vehicle, se non quella più specialistica del kalashnikov. La nostra delegazione paciaiola ricorda quella di Mars Attacks! e le nostre colombe finiscono ineluttabilmente carbonizzate proprio come il soave pennuto di Tim Burton, mentre diffondiamo messaggi di fratellanza con il traduttore universale del pensiero unico mondialista.

 

«Mai visto niente di simile», dichiara un testimone scampato all’attacco di Westminster questo pomeriggio. E certamente, dal vivo, immaginiamo superi l’immaginazione. Eppure, abbiamo già visto qualcosa di simile. Chi passeggiava sulla promenade des Anglais nel luglio 2016 ha visto qualcosa di simile. Fabrizia Di Lorenzo, il Natale scorso, che non festeggiò. Ma ce ne siamo già dimenticati. Leggere oggi la biografia di Fabrizia fa male due volte. Perché non solo è stata una giovane vita spazzata via da una cieca pazzia. Ma è una giovane vita sacrificata per nulla; una vita che sognava la pacifica integrazione con chi continua a massacrare senza requie. Questa ragazza predicava, come tante persone che conosciamo, in buona fede e non per posa, la tolleranza, il rispetto per le differenze, una reazione pacifica all’odio semplificatore; combatteva la falsa similitudine fra islamici e terroristi. Tutte cose che ci riscattano e riscattano la verità, quando vissute con il cuore puro. Perché anche noi, in abstracto, le sentiamo nostre. Poi c’è il concreto che senza tanto rispetto per le differenze ti passa sopra con un tir, o con un suv, che urla «morirò per Allah» non più tardi del 20 marzo scorso a Orly o che si fa esplodere a Bruxelles, esattamente un anno fa. E allora, da realisti che provano a non essere cinici, abbiamo il dovere di proteggere quel po’ di innocenza che vive ancora fra noi senza mandarla vigliaccamente al martirio per poi piangerne il ricordo. E subito dimenticarlo.

 

Trovo quindi opportuno prendere atto irrefragabilmente che il mondo ha una grana con l’estremismo islamico. Ha una grana, un grattacapo, un piccolo guaio da risolvere con arabi musulmani – non sempre arabi, a dire il vero, perché non è corretto farne una questione razziale come confermerebbe l’origine dell’odierno assalitore – determinati, per le più diverse e struggenti ragioni, a farla finita in maniera eclatante, portandosi dietro più gente possibile. Tiriamo un risibile sospiro di sollievo quando scopriamo che si tratta di lupi solitari, come se la circostanza fosse meno inquietante. Il tragico della vita è che tutti hanno le loro ragioni, e tant’è. Continuare a negarlo, non rilevarlo, piccarsi con chi lo fa, spostare il focus, fare del sarcasmo sulla Le Pen, su Magdi Allam, su Salvini o su chiunque punti il dito, spendersi in compiaciuti «questo populismo è il vero terrorismo», buttarla in caciara con la Santa Inquisizione, il colonialismo, l’imperialismo, le massonerie, i complotti internazionali e i grandi burattinai, sono atteggiamenti che non qualificano un’intelligenza più sottile; piuttosto il maldestro sforzo di volerla a tutti i costi sbandierare. Ed è indicativo, ma qui parlo dal mio modesto osservatorio, che questo puerile tentativo di ostentare indipendenza intellettuale e superiorità morale anche contro il tritolo dell’ovvio sia un magnete irresistibile per quasi tutti gli imbecilli che conosco.

 

Nel proprio saggio Per la pace perpetua, Kant, che non riteneva fosse necessario preparare la guerra per avere la pace, scriveva:

«Nessuno stato in guerra con un altro deve permettersi ostilità tali da rendere impossibile la fiducia reciproca nella pace futura: come l’impiego di sicari (percussores), di avvelenatori (venefici), l’infrazione della resa, l’istigazione al tradimento (perduellio) nello stato con cui si è in guerra etc. Anche durante una guerra deve rimanere fiducia nella disposizione d’animo del nemico».

Ecco ciò su cui non possiamo fare affidamento in questa guerra atipica, asimmetrica. Non ci è data la possibilità di contare sulla buona disposizione d’animo del nemico. Perché combattiamo con chi non vuole la pace neppure per sé.

 

 

 

 

 

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