Group of People in the Airport

Pochi giorni fa, dal pergamo multimediale della propria pagina Facebook, Vittorio Sgarbi si è lasciato andare a un’accusa nei confronti dei protocolli di sicurezza in uso negli aeroporti, giudicati sinistramente simili alla prassi dei lager, e con la consueta infiammabilità retorica ne ha demolito gli agenti, accusati di livellare alla cretineria della procedura anche gli innocenti passeggeri. Naturalmente la penso allo stesso modo. Tuttavia trovo che aggredire il cerimoniale non sia sufficiente per evidenziarne l’assurdità. L’insensatezza della finta sicurezza non si evince tanto dallo zelo inquisitorio di una procedura molesta e ostile, che sembra volerci scannerizzare persino le scoregge per capire se rappresentano potenziali armi bianche, quanto nel contrasto dialettico fra la cappa paranoide del luogo designato e l’assoluta indifferenza che ci circonda in precedenza e successivamente.

 

 

Inforcare il Malpensa Express appena dopo un atterraggio ha infatti ogni volta il potere di esacerbare l’interrogativo che da anni incuriosisce. Per salire su un aereo veniamo passati al setaccio, appunto: ci aprono i bagagli, ci scrutano nelle mutande, ci impediscono di portare cremine, unguenti, vaselina, ci fanno togliere la cintura, le bretelle, le scarpe. Subiamo sfacciate palpazioni alle volte causa di involontarie erezioni e ci vengono talvolta fatte domande impudenti cui siamo comandati a rispondere senza esitare. Al controllo documenti, che si ripete, veniamo squadrati con truce cipiglio. Il tutto, di riflesso, ci porta a scrutare con sospetto anche l’innocuo beduino che siede al nostro fianco. Poi, poco dopo, sempre con bagaglio, magari con la stessa faccia e gli stessi panni, saliamo su un treno e nessuno si cura più di noi. Ora, qualche autorevole analista di sicurezza interna può spiegare per quale ragione si debba mantenere in essere questa pantomima snervante degli aeroporti, dove i viaggiatori abituali perdono mesi di vita (hanno mai trovato una pistola in una valigia?), quando qualunque squilibrato o malintenzionato può salire su un Freccia Bianca, o magari su un traghetto, su di un bus, su di una metropolitana, con un paio di AK47 nel bagaglio a mano? Fermo restando che, nello specifico, sono caduti molti più aerei a causa di errori umani o per avarie meccaniche che non per azioni di sabotaggio, quindi al limite indirizzerei quell’ossessiva attenzione verso la selezione del personale e le revisioni. Inoltre, se il pretesto è sempre il rischio terrorismo, l’utilizzo di mezzi comuni come auto o tir per effondere il terrore ha reso evidente anche ai più ottenebrati ciò che già era palese ai mediamente intelligenti: non è possibile fermare chi intende seminare il terrore a rischio della propria stessa vita. Ogni argine è sgretolabile, ogni cautela manchevole. Si può solo mettere in pseudo-sicurezza alcuni comparti o luoghi simbolici, per convincere gli imbecilli che magari saranno arrotati in mezzo alla strada, ma cielo almeno non verranno dirottati! Liberissimi di saltare per aria in San Marco o nella basilica di San Babila, ma per tutti i numi non in Duomo! Perché, come segnalato pochi mesi fa dall’arciprete Gianantonio Borgonovo, «presto la cattedrale di Milano sarà come un aeroporto».

 

E’ sempre dal pensiero dialettico negativo – ribattezzato benaltrismo dai mentecatti – che si intercetta la coglioneria affermativa ogniqualvolta si manifesta, poiché quando isolata appare al contrario perfettamente ragionevole. Non è forse ragionevole, civile addirittura, fare campagne contro il fumo? Certamente. Ma quando costanti immagini di morte e raccapriccio, slogan ossessivo-iettatori per sconsigliare una sacrosanta Dunhill dopo il caffé… si affiancano alla totale indifferenza verso tutto ciò che di altrettanto nocivo ci circonda, ecco l’ideologia, che solo attraverso il confronto critico può davvero trasudare in tutto il suo fetore. Perché non siamo bersagliati con la medesima caparbietà da fegati in putrefazione e animali macellati davanti agli happy meal McDonald?

 

Ciò che davvero terrorizza non è quindi lo sguardo investigativo e la meticolosa palpazione del dipendente aeroportuale che svolge la propria onesta mansione, ma la docilità con cui ci pieghiamo a farse per animi semplici, alla contraddittorietà caricaturale intorno a noi, inconsciamente sicuri che questi iter, forti del principio di autorità del reale, abbiano piena legittimazione razionale. Il post di Sgarbi è stato seguito dai prevedibili commenti dei locutori, come per esempio: «Capra, ma non sai che la schiuma da barba è un liquido infiammabile?! Non sai che anche delle forbici possono essere un’arma?! Che superficialità da asino caprone!». Il post, intellettualmente sano, è stato cioè seguito dalla patologia del reale che diviene razionale. Non importa che in qualunque altra dimensione pubblica dell’esistenza – un bar, un ristorante, un supermercato, un negozio, un cinema, un teatro, un vaporetto o il treno a correre, come anticipato – la schiuma da barba possa essere altrettanto infiammabile e le forbici altrettanto letali. Non importa. Fuori dall’aeroporto non fanno più paura. Tutelarsi dal loro potenziale offensivo non è più razionale. Perché è chiaro che se un qualunque ristoratore decidesse di imporre i raggi X e la palpazione corporale all’ingresso del proprio locale verrebbe immantinente considerato un folle o un vegano fondamentalista.

 

Per quale motivo allora si calcificano tali grotteschi protocolli, poi difficilissimi da demolire? I fulmini di paura e angoscia sociale (in questo caso post 11 settembre) vengono magnetizzati dall’ideologia, da una credenza tattica istituita, che ne cattura le scariche attirandoli in un percorso obbligato e ne disperde così l’energia potenzialmente infiammabile. Non potendo calmierare ansia e paura con il filtro razionale, si erige un totem ideologico, burocratico, fintamente efficiente, che funge da parafulmine. Sullo slancio ottuso della prassi, negli anni il mezzo assorbe definitivamente lo scopo e diviene stupidità pubblica amministrata. Funziona in questo modo nei campi più disparati. Con l’acquiescenza generale a piantare gli ultimi chiodi nella bara del raziocinio; così, mutatis mutandis, dall’iniziale gradevolezza e utilità sociale di un pedagogo alla Alberto Manzi, in pochi decenni ti ritrovi Fabio Fazio a libro paga che ti fa sentire anche un po’ in colpa perché non comprendi il valore delle sue benemerenze. Ma non è mai troppo tardi per una presa di coscienza collettiva e anche i blog possono dare un piccolo contributo.

 

Beffardamente, per tornare alla miccia iniziale della polemica, quello stesso buon viaggiatore da poco atterrato a Malpensa, che si era sentito così sicuro e protetto dai severi protocolli di sicurezza sul suo volo e coccolato dalle poltrone della compagnia aerea, viene improvvisamente abbandonato. Appena posato il paniere sui fetidi sedili del Malpensa Express – degni peraltro di profilassi post-esposizione – mentre scrive queste dolenti righe si trova infatti affiancato a un passeggero di natali malesi con maglia pregna di umori della foresta pluviale del Borneo, intento a tagliarsi le unghie dei piedi utilizzando proprio quelle letali forbicine dalle quali così previdentemente l’induzione elettromagnetica aeroportuale lo aveva fino a poco prima difeso…

 

 

 

 

 

 

 

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