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Dove non c’è integrazione, dove si semina discriminazione, ebbene in quel luogo l’odio deflagrerà. Nelle ore immediatamente successive all’ennesima inumana mattanza che ha colpito il cuore dell’Europa, la sinistra italiana si interroga su come agire per arginare questa crescente ondata di violenza. L’unica cosa perfettamente chiara e unanimemente accettata è l’identità del responsabile: Matteo Salvini. Quando si ha un nemico così feroce sotto tiro, e si è nelle condizioni di sparare, lo sdegno ferito suggerirebbe di far fuoco. Ma così operando – benché i sentimenti di rappresaglia siano hélas comprensibili – si rischierebbe di fare il gioco degli estremisti: mai rispondere all’intolleranza con l’intolleranza. Le volgari reazioni di pancia, i rabbiosi anatemi scagliati contro Salvini e i suoi militanti, queste pubbliche gogne dove imprigionare i sicari del razzismo… non riporteranno in vita le vittime del terrore e soprattutto mostrano di ignorare le sfumature di una dottrina tutt’altro che monolitica. Non tutti i leghisti sono infatti fondamentalisti; esiste anche un leghista moderato. La valanga di barbarie che invade il continente non nasce dall’anima autentica della Lega, che professa al contrario un credo di pace, e lo sciacallaggio indiscriminato che brandisce la falsa equazione leghista=terrorista rischia di colpire anche tantissime persone per bene. Gente che vive rispettando le nostre stesse leggi, i cui figli compitano con i nostri e tifano per le stesse squadre di calcio. Bambini che magari rincorrono un pallone indossando la maglietta di Francesco Totti, ancestrale simbolo di quella Roma ladrona che, nell’immaginario dei mistificatori, i padani sarebbero pronti a conquistare.

 

Colpa precipua di questa confusione ideologica è dell’irsuto leader degli estremisti, che da anni sta instillando rancore nelle menti più deboli, magari nel cuore di emarginati ragazzi di provincia che non hanno un lavoro fisso e vivono alla periferia delle nostre società, portati a odiare gli agi di noi ricchi borghesi, a detestare i nostri cestini di vimini ecofriendly da déjeuner sur l’herbe, i casolari toscani dove degustiamo introverse etichette bio ascoltando brani di indie rock educatamente tribale; questi poveri sempliciotti – cui è stato fatto il lavaggio del cervello da manipolatori senza scrupoli – sono stati costretti a disprezzare la nostra servitù africana di Provenza e a travisare gli editoriali di Ezio Mauro che amiamo sorseggiare sui prendisole di un 130 piedi dalla spiccata marinità. Ma anche in loro risiedono quelle energie fresche che in futuro pagheranno le nostre pensioni! Per salvare anime così drammaticamente vacillanti possiamo contare su vive forze moderate, che grazie a figure carismatiche come Luca Zaia stanno lottando per imporre un paradigma alternativo. Compito della sinistra engagé è quello di aiutarli a isolare i fanatici senza cadere nelle più meschine generalizzazioni. Si solleveranno esitazioni, già le prefiguro. C’è chi si appellerà alla Repubblica minore, quella di Platone, che affermava: «Quando il cittadino accetta che chiunque gli capiti in casa possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e c’è nato; quando i capi tollerano per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine, così muore la democrazia: per abuso di se stessa. E prima che nel sangue, nel ridicolo». Ma qui non aiuta rimestare i deliri di 2.500 anni fa; l’umanità è progredita e oggi capiamo quanto la democrazia abbia solo bisogno di più democrazia e che saranno proprio quei lumbard che ora guardiamo con sospetto e che vorremmo scacciare dai nostri openspace a costruire le case di domani, impegnandosi in lavori di falegnameria, muratura, tramezzatura e idraulica; senza dimenticare la grande tradizione di lattoneria edile connaturata a quelle genti.

 

 

Imperativo categorico è non cedere alla strategia della paura: alzare muri culturali è un rischio da non rischiare. Serve più integrazione, qui risiede la chiave. Solo accogliendo il leghista – culturalmente prima ancora che economicamente – possiamo disinnescare le radicalizzazioni. Ius soli e ius culturae sono conquiste della civiltà di cui anche loro un giorno beneficeranno, superando le aberrazioni etnocentriche dello ius sanguinis. C’è un Carroccio fermo alla secessione, all’etnonazionalismo, all’euroscetticismo, all’indipendentismo padano, è vero, ma è numericamente irrilevante rispetto alle correnti organizzate che credono nell’Europa. Non esiste solo la Lega primitiva, quella lombarda, determinata alla guerra contro il terun; ridurla a questo significa semplificarne grossolanamente la fisionomia, come talvolta fanno finanche personalità del calibro di Marco Damilano e Ivan Scalfarotto. Silenziosa ma ben più numerosa è la Lega dei popoli, che ha da tempo rinnegato il “Nord” a favore di un luogo di incontro senza più coordinate, confini o bandiere, dove sono fiorite primavere di tolleranza interregionale. Alla domanda su come sia possibile che alcuni leghisti – cresciuti nelle nostre città, fra di noi – abbiano osato tali atrocità, come suggerivo in precedenza si può rispondere solo mettendo in discussione il nostro farraginoso modello di integrazione. Accogliere il leghista con maggior slancio, inserire i più giovani nel tessuto connettivo della realtà sociale, non cedere alla carrocciofobia, respingere fermamente ogni discriminazione: questo è il formulario per estirpare l’odio, al fine di edificare un’Europa più giusta e più sicura; per noi come per i nostri figli.

 

 

 

 

 

 

 

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