GWCTD

In genere affronto un tema dopo essermi organizzato una solida opinione. Oggi invece sottopongo alla vostra acuta attenzione un argomento che posso presentare soltanto in maniera problematica, perché non ho strumenti per dare risposte. Fra il gennaio 2016 e l’agosto 2017 sono sbarcati in Italia circa 280mila rifugiati. I Paesi di provenienza maggiormente rappresentati sono Nigeria, Repubblica di Guinea, Bangladesh, Mali e Costa d’Avorio. Il 75% circa sono maschi di giovane età. Ora, personalmente non tollero l’equazione immigrato = selvaggio, o peggio, immigrato = potenziale stupratore, e lascio volentieri queste semplificazioni ai demagoghi. Anzi, da persona che ama immaginarsi civile, ho a cuore primariamente la salute dei nuovi arrivati. Noi tutti siamo stati allertati, specie negli ultimi vent’anni, sull’importanza della sessualità nell’equilibrio psicofisico di un essere umano. Purtroppo non sono un sessuologo, ma ho letto a sufficienza sulla materia per comprendere quanto le implicazioni del desiderio siano centrali per il benessere dei cittadini di una democrazia avanzata.

 

 

La teoria sociale ci ha insegnato che l’umano consorzio è come un teatro, dove ci sono un palcoscenico e un retroscena, così come amabilmente illustrato Erving Goffman in La vita quotidiana come rappresentazione, Relazioni in pubblico, Il rituale dell’interazione. In questa rappresentazione sociale siamo vincolati da un patto implicito e condiviso che definisce la situazione, quindi i ruoli che di volta in volta occupiamo. Noi che dunque ci riconosciamo parte di questa recita, attori in un dato spazio scenico, come possiamo pensare di dirigere comparse che neppure distinguono fra palcoscenico e retroscena? Che ignorano completamente il copione? O finanche l’universo simbolico che lo ha reso possibile? Si dirà che integrare significa anche, se non soprattutto, relazionare. Gradualmente, con pazienza, giorno dopo giorno. E sia. Ma non serve un sessuologo di professione per capire che la sessualità ha malauguratamente delle impellenze. Imperiose. Improrogabili. Talvolta esuberanti. Specie in giovani uomini nel pieno del vigore. Provate solo a immaginare come si possa vivere l’esilio, la deportazione della propria libera virilità in un luogo di confino! Una condizione di proscrizione quotidiana dove anche una banale erezione dev’essere segregata nella clandestinità, perché se resa pubblica può venir castrata da un comune sentire opprimente, kafkiano, di cui non si comprendono codici e istanze; dove persino la convivialità di un’eiaculazione in autobus viene percepita come stravagante se non addirittura disdicevole. Vi invito ad avvertire il senso di alienazione e impotenza. Quindi mi domando, perché ho a cuore la piena espressione della vita sessuale di tutti: con chi abbiamo intenzione di fare accoppiare queste centinaia di migliaia di ardenti giovinotti?

 

 

Come ogni benpensante con un poco di sensibilità sono convintamente contrario alla prostituzione. Ma anche fosse scelta come soluzione emergenziale, servirebbero risorse economiche che gli sventurati in fuga dalle guerre non hanno. E temo che un eventuale aiuto di Stato verrebbe interpretato dalle molte persone di compìta avvedutezza come un incentivo al meretricio. Che cosa dunque ci resta da fare?

 

 

Recentemente ha suscitato scalpore la storia d’amore sbocciata fra Francesca Testi – figlia della sindaca Pd di Monte San Savino, Margherita Scarpellini – e il migrante Jeff. L’amore è il migliore veicolo di integrazione che esista e la reazione contrariata della madre di Francesca ci è sembrata inopinatamente gretta e discriminatoria; cionondimeno, come sappiamo, all’amor non si comanda. Quindi non possiamo per decreto costringere 200mila e più ragazze italiane a innamorarsi di rispettivi richiedenti asilo, per quanto senz’altro uomini ricchi di squisito sentire. Tanto più che ogni relazione, foss’anche ispirata da un romantico colpo di fulmine, esige, oggi più che mai, corretti cerimoniali di corteggiamento. E qui torniamo alla drammaturgia Goffmaniana e alle domande che ponevo poco tempo da: come possiamo ambire a far recitare la sottile parte del galantuomo ammaliatore, ma non prevaricatore; seduttore, ma non manipolatore; che ci sa fare, senza essere pussy grabber; che si stira in autonomia le camicie e cucina per lei pietanze vegane perché emancipato da primitivi cliché sulla femmina ai fornelli, ma se c’è da aggiustare le tubature o da attaccare una mensola ci pensa sempre lui perché non sono certo lavori da signora… a virgulti che fino a ieri abitavano Paesi, tipo il Bangladesh, dove il 48,7% delle donne ha subito gravi violenze? Come riusciremo a inculcare il ruolo di uomo rispettoso delle conquiste e dei sentimenti della compagna, come della prammatica del galateo… a maschi che comprensibilmente faticano ad afferrare quanto scortese possa rivelarsi uno stupro di gruppo fra i pedalò?

 

 

Come preannunciato e rivelato, non ho risposte; ho soltanto domande. Ma sono domande che vanno appagate il prima possibile, perché da fonti autorevoli pare che la prolungata astinenza sessuale produca una certa aggressività; a meno che, naturalmente, questa aggressività non si sublimi in sentimenti religiosi, nella servile osservanza di un culto. Quindi mi auguro, nella peggiore delle ipotesi, che i tanti giovani dalla sessualità frustrata possano trovare almeno nella loro religione – che ignoro, ma sono certo dottrina di pace – precetti ed interlocutori spirituali capaci di orientarne le veementi rivendicazioni; nel rispetto di se stessi, della donna e di tutta la comunità che li accoglie.

 

 

 

 

 

 

 

 

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