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«Dobbiamo prendere l’impegno solenne di approvare in questa legislatura lo Ius soli. Il cuore della questione è come un grande partito affronta una grande questione di principio. Lo Ius soli è una legge di principio. Un grande partito, sulle leggi di principio, dibatte, decide e convince. L’unica cosa che non fa è rinunciare. […] Il Pd deve cercare di convincere chi non la pensa come noi. Quello che abbiamo fatto al governo non l’abbiamo fatto da soli. La sfida è lavorare insieme oltre i confini del Pd, per costruire una grande alleanza, governare l’Italia, battere la destra e sconfiggere definitivamente i populismi […] Se si ritira o ci si mette di lato rispetto alla sfida di governo, la sinistra perde se stessa. E questo il popolo della sinistra italiana non lo capirebbe e non lo perdonerebbe».

 

 

Osservare, ascoltare, leggere Marco Minniti… è un giovevole esercizio di igiene mentale. Perché incarna con eloquenza antropologica il criptofascismo sinistro, viscido e golpista. Il ministro, inteso etimologicamente come servo, senza la nobile sfumatura di servitore. Servo di un piccolo partito, nemico della patria.

 

 

Per chi ha capito come gira lo zolfo non serve dissezionare l’ovvio, spiegando il perché di questa improvvisa energia precettiva dall’Interno. Più interessante e utile è invece osservare da vicino le pistole fumanti retoriche: «Lo Ius soli è una legge di principio. Un grande partito, sulle leggi di principio, dibatte, decide e convince». Quale principio? Minniti si riferisce a una petizione di principio. Lo Ius soli è infatti la più manifesta petitio principii dell’agenda politica di questo governo abusivo. E la malafede fallace di chi invita a registrarne la necessità – meramente opportunistica – non è neppure stata in grado di legittimare – sempre opportunisticamente – tale impellenza. Perché sono degli usurpatori mediocri, senza finezza, senza genio nel male, solo banalità. Si dice genericamente che questa legge aiuterebbe l’integrazione e niente affatto favorirebbe l’immigrazione, senza spiegare il come o il perché. Si afferma cioè… ciò che in realtà andrebbe dimostrato: «E’ legge sull’integrazione non sull’immigrazione». Si dice poi che è voluta dalla gente, dal popolo italiano, e quando gli si fa notare che gran parte degli italiani la rifugge, la schifa, si passa alla strategia del “no true scotsman” con impanatura nostrana: chi non la vuole non è un vero italiano, non è un italiano civile.

 

 

Il passaggio di Minniti sulla vocazione maggioritaria è poi un manifesto – la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un gruppetto di garzoni del capitale internazionale, morti di fame che scioperano per salvarsi il culo – e andrebbe così parafrasata: la sinistra perde se stessa quando rinuncia al potere e per ottenerlo deve essere disposta ai più vili maneggi, alle più nauseabonde pastette, perché l’unica cosa che conta è demolire i detrattori. E in quel «deve cercare di convincere chi non la pensa come noi» c’è tutto l’olezzo della consorteria, riunita dal magnete della sopravvivenza, brutta di facce e idee alla Saviano, alla Gentiloni, alla Renzi, squallida domestica del pensiero unico di dominio che mette i gomiti sulla tavola rotonda democratica. Che cerca di manipolare, di piegare la realtà a fini strumentali e interessati. Quello del Partito democratico è un impegno solenne a svendere, a liquidare: la patria, gli italiani, i principi. Per principio.

 

 

 

 

 

 

 

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