vigile

Quando ero bambino volevo fare l’astronauta. Da adolescente il regista. Oggi – per almeno ma per non più di tre giorni la settimana – vorrei essere un agente della polizia municipale. Sono consapevole delle enormi e crescenti difficoltà che devono affrontare i vigilanti, fra organici sempre più esigui, strumenti operativi insufficienti e stipendi poco gratificanti. Eppure, il privilegio di poter esercitare la legge a tutela della pubblica sicurezza con la cogenza dell’immediatezza, per alzata di paletta, per zuffolo di fischietto, per urlo di sirena, ai miei occhi rappresenta un orizzonte rigenerante, catartico. Una responsabilità, un onere, ma soprattutto uno straordinario privilegio. Essere investiti dal consorzio umano di cui si fa parte del ruolo di garanti della pacifica convivenza quotidiana dei cittadini, della pace collettiva, è qualcosa che fa palpitare l’orgoglio senza lusingare la vanità. Un’azione di servizio verso l’ordinamento e le istituzioni che non si inaridisce nelle norme giuridiche, che non si altera nella vanagloria del potentato, ma che trova immantinente incontro con il suo nobile fine: la tutela dell’indifeso, la salvaguardia della concordia comunitaria. Fare giustizia per un agente di pubblica sicurezza è una possibilità quotidiana. I cui esiti hanno la vividezza dell’azione. Dove ciò che accade o non accade dipende direttamente da una omissione o da un intervento, senza paludi burocratiche nel mezzo. Ricordo un aneddoto di qualche anno fa, che fece trasalire il mio istinto omicida, ma che rappresenta luminosamente le osservazioni di cui sopra. Mi trovavo su di un marciapiedi meneghino a passeggio con il mio cane quando un maxiscooter inforcò lo scivolo per i disabili come Tony Cairoli il Ciglione della Malpensa. Il mezzo sfiorò il mio quadrupede, allora cucciolo, mi pettinò una basiola per poi posteggiare vicino a un portone. Io mi ribellai a quella aggressione motorizzata segnalando al centauro l’illegalità e pericolosità della sua testa di minchia. La risposta fu emblematica: «E chiama i vigili, non mi offendo… ». In quella salace replica non c’era soltanto uno sberleffo nei confronti del vostro affezionatissimo, ma anche l’umiliazione della legalità. Deve sentirsi imbarazzato un vigile nella divisa il primo giorno di lavoro, cantava Franco Battiato nella sua Frammenti, ma che meravigliosa opportunità avrebbe quello stesso vigile, fin dal suo primo giorno in divisa, di fare immediatamente pulizia delle zecche che infestano il tessuto urbano!

 

 

 

Tutto ciò premesso per far capire quanto rispetto io porti al ruolo e quanto mi ritenga avvertito sul suo potenziale cautelativo e medicamentoso. E’ quindi con profonda amarezza e un poco di impercettibile giramento di coglioni che osservo quanto queste straordinarie opportunità di “giustizia diretta”, come amo chiamarla, siano buttate al vento in favore di una meschina occupazione esattoriale. Il poliziotto locale, da possibile avamposto di legalità e onore nella giungla urbana, è diventato un pavido e miserabile esattore. Pavido e miserabile. Una iena che pascola sulle carcasse. Muovendomi abitualmente fra quattro comuni (Milano, Erbusco, Piacenza, Rivergaro) non posso fare a meno di notare una spregevole linea comune, nobilitata da ben rare eccezioni. Ma scendiamo dolorosamente nello specifico, con il contributo di fatti recenti che certamente avranno incaprettato a passo di volante anche voi. Qualche settimana fa parcheggiavo in centro a Piacenza. Zona blu, a pagamento, con apposita colonnina. Da solerte cittadino mi ero procurato moneta sonante per soddisfare il salvadanaio comunale. Inserisco due euro ed espongo il certificato di pagamento sul cruscotto. Dopo aver esaurito le mie commissioni torno all’auto, alle 18.25, e trovo una contravvenzione sul parabrezza. Motivo? Il mio permesso terminava alle 18.07. Come capirete, la mia negligenza era imperdonabile e meritevole di sanzione. Ma quale grifagna tempestività! Quale rapacità! Così mi capitò di riflettere. Quel mio colpevole ritardo intralciava il traffico? Non mi parve. Penalizzava altri cittadini disperatamente bisognosi di un posto libero? In teoria sarebbe stato possibile, ma curiosamente la mia auto era la sola parcheggiata, circondata da posti liberi, a completa disposizione della cittadinanza. Mi rimase dunque l’asprigna sensazione che quella severina contravvenzione fosse solo a fini di lucro; senza alcun fine superiore se non spillare soldi dal portafogli del buon cittadino. Ma proseguiamo. A Milano ho un pass per residenti che mi permette di posteggiare sotto casa, in via Bertani. Ebbene, ogni sera, quando torno al focolare, gli spazi dedicati ai residenti sono regolarmente occupati da auto non autorizzate di proprietà di ragazzi che consumano l’aperitivo nei tanti locali delle vicinanze. Molte sono anche quelle in doppia fila. Ma la sera non c’è traccia di sicurezza in divisa. Qualche settimana fa ho notato che il mio pass era in scadenza e intendevo adoperarmi per rinnovarlo. La mia ragazza, sapendomi in procinto di cambiare auto e quindi targa, mi suggeriva di aspettare per evitare di fare due volte la trafila negli uffici di riferimento. Così, qualche giorno dopo, posteggio esponendo il pass da poco scaduto. Sono residente. Abito lì. Ho un pass. Le ruote dell’auto sono diligentemente inserite fra gli spazi. Niente. La mattina dopo, inesorabilmente multato. Formalismi, direte voi, interventi molesti, ma pur sempre legittimi. «Scrivi questa manfrina solo perché ti brucia il culo per qualche euro!», diranno i più maliziosi. Ma il Dio dei cieli e Tina Lagostina Bassi mi sono testimoni: non è per stizza da braccino corto che scrivo. Non sono un tipo molto attaccato ai soldi. E’ per il principio. Tradito. Per la bieca grettezza di un’avidità cretina che si veste da legalità. Se dovete far cassa, se siete volgarmente comandati a farla, fatela a tutela della rettitudine! Per Dio! Non a suo danno! Come se mancassero opportunità di far cassa a difesa della civiltà! Castigate l’arrogante, l’incivile, il bullo, colui che mette in pericolo l’incolumità degli altri e l’ordine pubblico; non lo sbadato, non chi lavora e si aggrappa alla benevolenza altrui! In Viale Melzi d’Eril, che ogni giorno attraverso a piedi, transitano autoveicoli e motovelicoli a velocità che sarebbero proibite anche in tangenziale… con folli rischi per gli indifesi pedoni: avete mai visto un vigile con una paletta alzata? Un fischio? Una sirena? Mai. Abito lì da otto anni. Mai. Tirate giù per le corna un motociclista che si crede Anthony Gobert e levategli la pelle da culo! Piazzate le ganasce a quei giacalüstra con le quattro frecce da Cayenne che se ne sbattono della viabilità e piazzano il Suv a capriccio con la sboronaggine degli impuniti! Fatelo con enfasi teatrale, con la forza drammaturgica del monito, dell’esempio. Perché se applicate la legge per difendere il probo e colpire il prevaricatore non avrete di che temere, uscirete dal Pandino come dalle acque del fiume Stige, dove Teti immerse Achille per renderlo invulnerabile. E invece no. Prelevano dal residente imitando lo strisciare dei crotali. Multano il furgoncino dell’artigiano mentre lavora. Cavillano come invertebrati della mentalità impiegatizia, sviliscono la propria missione e cagano il cazzo all’onesto contribuente. «Populismo!», tuonerà il lacchè dello status quo. A Piacenza mi risultano esserci oltre 150 agenti. Un giorno mi trovavo alle prese con un atto di vandalismo nella mia proprietà, piuttosto serio peraltro, e tempestivamente telefonai: mi risposero che non avevano tempo. Credo che la telefonata sia stata registrata, quindi mi pento di non aver espresso compiutamente la mia opinione con un po’ di mostarda. Oltre 150 agenti che preferiscono fare gli impiegati in ufficio e agire da impiegati, da percettori, anche quando escono in strada. Siete vigili? Vigilate! C’è n’è tanto bisogno amici miei! E quanto più nobile ossequio mostrereste alla vostra, nostra divisa!

 

 

 

Tornando a Milano, i più affezionati lettori di questo blog ricorderanno l’episodio dell’Arco della Pace, quando chiamai per segnalare lo scempio che si consumava regolarmente sotto e sopra il monumento. Così come le mie rimostranze per gli avvinazzati che popolano Parco Sempione. E giungo ora a un nuovo aneddoto, quello che preferisco. Mentre passeggio per il parco nei pressi del ponte delle Sirenette fischiettando Rusticanella, del maestro Domenico Cortopassi, vengo fermato due volte in 50 metri da esotici buontemponi che mi offrono «fumo capo…vuoi del fumo?». Così, quando intercetto una Fiat Punto della Locale che circola nei paraggi ne informo il conducente. Lo sollecito a scendere per una sgambata alla ricerca dell’illegalità, che nulla faceva per nascondersi. Una zona verde di romanticismo all’inglese nel cuore di Milano, che fra platani secolari e germani reali dovrebbe essere dedicata ai déjeuner sur l’herbe delle famiglie e sembra invece un parco giuochi per facce patibolari; io non mi aspetto che in un parco pubblico italiano si respiri l’atmosfera del Royal St. George Club di Sandwich, ma neppure quella di una colonia penale. La risposta dell’agente fu la seguente: «Lei faccia il suo mestiere che al nostro pensiamo noi». Visto che il mestiere di cittadino non è apprezzato, seguo a distanza il consiglio, e faccio il mio mestiere. Racconto, do testimonianza, metto i fatti in prospettiva. Lo sfarinarsi dell’autorità è generalizzato: parte dalla famiglia, passa per la scuola e arriva alle forze dell’ordine. Oggi reprimere, anche se necessario, è impopolare, sospetto. Quindi capisco e sono solidale con chi è chiamato all’uso della forza e quando poi se ne serve viene messo sotto processo. Ma dove c’è ancora spazio per agire a tutela del bene comune, senza necessariamente esporsi in azioni da Berretti verdi, vedo indifferenza o sciatteria in ciò che conta e malverso fiscalismo dove non conta, ma torna comodo. Se la Polizia Locale intende replicare, lo faccia, è la benvenuta. Chissà quante cose ignoro sulla loro epica metropolitana! Io vorrei proprio ricercare un confronto, così spesso problematico nella prassi quotidiana. L’impotenza mia è quella di molti. E vi invito a raccontare le vostre testimonianze, perché le prima citate sono, lo so, una goccia nel mare. E come se non bastasse la frustrazione dell’uomo dabbene, quando quest’ultimo protesta, recalcitra, si cucca nei denti pure Michele Serra. Mi è infatti tornata alla mente un’Amaca, forse già citata, che parlava di quegli agenti di Torino, i quali, dopo aver multato un panettiere in doppia fila, furono circondati da cittadini indignati. Scriveva a tal proposito il benevolente Michele, sempre dalla parte degli ultimi, dei bistrattati:

«Il panettiere di Torino si esprime educatamente, non è un bullo né un emarginato ma un lavoratore come tanti. Proprio per questo è terribile constatare come non abbia alcuna percezione, neanche vaga, di avere torto: perché i vigili hanno non solo il diritto, ma il dovere di multare le auto in doppia fila; perché non è lecito ostacolarli mentre lo fanno; perché è corretto da parte loro chiedere i documenti, mentre è gravemente scorretto (un reato) non volerglieli mostrare. Quel bravo, bravissimo ragazzo ha capito solamente, della vicenda, che quelle multe disturbavano la sua attività e i suoi interessi. Ed è questa la sola ragione che può davvero indignare e mobilitare la maggioranza degli italiani. Che sono quasi tutti brava gente: ma di regole e di doveri non capiscono proprio l’essenza, che raramente coincide con i propri comodi».

 

Un plauso a questo ennesimo capitolo della maieutica rettitudine di Repubblica, dei suoi editori e delle sue penne. E’ tuttavia terribile constatare come Serra non abbia alcuna percezione, neanche vaga, della sua stessa imbarazzante ottusità come dell’esasperazione di chi conosce il buon senso; di quei poveri ciula che hanno una visione d’insieme, che sanno mantenere l’unità delle regole dell’intelletto sotto principi. Cittadini che si trovano lo Stato nel culo come un mazzo di ortiche in ogni misero snodo della loro tribolazione; che ammirano le forze dell’ordine multare il lavoratore e sorvolare sullo spacciatore africano che bivacca fra le mamme in carrozzina per poi essere accusati di populismo e xenofobia se lo rimarcano; che vedono due criminali a Pavia asfaltare una ragazza al volante di una macchina rubata mesi prima, trascinarla per un chilometro per poi dileguarsi in pieno centro; che in alcuni quartieri di Torino, come di Roma e Milano, identificano gente armata di tirapugni intenta a pestare anziani senza scorgere forze dell’ordine con il librettino in mano a chiedere documenti. Il vigile ha il dovere di multare le auto in doppia fila, scrive bene Serra; ma ha soprattutto il diritto di colpire chi la posteggia in doppia fila per arroganza e senso di impunità prima di chi lo fa per sopravvivenza o necessità. Ma si sa, è più facile fare i pedanti con il panettiere in furgoncino che con il fenomeno in Bentley. E questo esercizio pavido e miserabile, mi ripeto, della legalità, alimenta l’illegalità del prepotente e la disillusione del buon cristiano. Come per le altre guardie, quelle della finanza, che vessano il piccolo artigiano e poi calano le brache di fronte ad Amazon. Se io vengo multato davanti a casa (dove ho il diritto di parcheggiare) perché il pass è scaduto da una settimana e mi reco a far ricorso, savio Serra, non lo faccio perché «non capisco l’essenza di regole e doveri»; bensì perché ho i coglioni alla zuava di subire forze di polizia che non operano per migliorare la vita del cittadino, ma si adoperano solo al fine di succhiare quei soldi utili per i “propri comodi” e che mettono le mani nelle tasche di chi sanno farà poche storie. Vigili con i deboli e crocerossine con i forti. Perché sono stanco di chi piazza gli autovelox a tradimento su strade extraurbane (nel 2013 la provincia di Milano incassò oltre 20 milioni di euro solo di autovelox) mentre in Corso Sempione, dove i mezzi a motore sono potenziali assassini di pedoni e ciclisti, le auto viaggiano a 120 all’ora fra strisce e semafori ancor più platealmente che in D’Eril mentre gli ausiliari guardano a corna basse le strisce blu. La ragione che fa indignare gli italiani, savio Serra – oltre ai giornalisti tromboni sempre in sfilata al casello della correttezza, ma in contromano sulla via dell’onestà – è che da decenni lo Stato «non rispetta regole e doveri, non ne capisce proprio l’essenza», ma pretende di insegnarli al panettiere. Proprio come lei.

 

 

Personalmente, al contrario, non voglio insegnare nulla all’ex vigile urbano. Mi piacerebbe anzi capire le sue ragioni; aiutarlo nella sua lotta quotidiana; collaborare con chi ci difende, risvegliare l’orgoglio di chi veglia su di noi. Auguro allora buon Natale alla Polizia Locale in questo spazio digitale. Ho provato a farlo per telefono, ma mi hanno comunicato che di queste cose si occupano i Carabinieri. Ne approfitto infine per augurare un Santo Natale e un sollazzevole 2018 anche a tutti voi carissimi lettori, molti dei quali ho l’ardire di chiamare amici: siete pensatori profondi, prosatori magnifici, donne e uomini ricchi di armonia e baciati in fronte dallo splendore. Vorrei scendere dal camino di ciascuno di voi e accoccolarmi sul tappeto come una fiera mansueta mentre alzate il calice a tutto ciò che amate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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