ANTEPRIMABERTAZZA18NOV

La malafede non si redime. Questa osservazione è a tal punto auto-evidente da offrirsi nella sveltezza dell’aforisma. Eppure è trascurata o sottovalutata dai nostri ambasciatori di idee, che instancabilmente inciampano nelle medesime trappole, e più per ingenuità che per alterigia. Ora, forse un poco immodestamente mi riterrei capace di ribattere le palle avvelenate dei sinistri contro loro stessi con una certa facilità, ma in questa sede non lo faccio perché i miei interlocutori siete voi, non loro. Parlo di loro, con voi. Ma chi ha la possibilità di affrontarli a viso aperto, spesso cerca di imboccare la strada della persuasione attraverso il buon senso; i più coltivati ci provano addirittura con il logos. Operazioni di convincimento che si rivelano ineluttabilmente evanescenti. Guardiamo negli occhi il tenore del dibattito pubblico. Qual è la tesi di fondo dell’imbecillighènzia perbenista? L’ha sintetizzata magistralmente Alessandro De Angelis nella scorsa puntata di Otto e mezzo: «La destra italiana è un’impresa dell’ansia sociale. Usa le parole come le pallottole. Semina odio con irresponsabilità. Evoca un nemico e produce effetti nefasti per il Paese». Certamente al nostro sguardo l’accusatore si sculaccia con la sua stessa accusa come fosse un ragazzino che spaccia gli amichetti per pippettari, ma lo fa con la tv sintonizzata su La soldatessa alle grandi manovre e la patta ancora abbassata. Le teste pensanti, a differenza dei giornalisti progressisti e conformisti, conoscono il principio di non contraddizione. Sottolineare che la destra italiana è un’impresa dell’ansia sociale non mira a sobillare ansia sociale contro la destra italiana? Accusare di utilizzare parole come pallottole non è forse esplodere parole come pallottole? Tacciare un soggetto politico preciso di seminare odio non semina odio? Non evoca forse un nemico?

 

 

Nel merito poi, è talmente vero che i Berlusconi, i Salvini e le Meloni aizzano ansia sociale che subito dopo, da Formigli, parte un ansiogeno approfondimento sulla recrudescenza neofascista in Italia. Si va a Verona. E si mandano in onda brandelli di un servizio che somiglia sinistramente allo stesso servizio mandato in onda nel settembre 2017, dove si ascoltava Luca Castellini, leader di Forza Nuova, invocare Adolf Hitler da un palco dell’Hellas Verona. Un viscido e patetico tentativo di corroborare la tesi di un’emergenza fascista in Italia, a supporto del recente caso di Macerata. Dove non una singola riflessione viene spesa per la sorte di Pamela Mastropietro, mentre i più arguti analisti sono chiamati a inquadrare lo scellerato exploit di Traini come frutto di un milieu, di una mentalità. E che cos’è questo se non il tentativo di evocare un nemico?

 

 

Ma tale vigilanza è futile. Ogni richiamo alla rettitudine intellettuale inefficace. Come scrivevo nei precedenti interventi, chi si arroga il diritto di calare una verità incontestabile e moralmente autorizzata mentre fa la più lubrica propaganda, va dialetticamente schiacciato come fosse un parassitoide. Non con la finezza del ragionamento, ma con la forza icastica dell’immagine. Non sono “buonisti”, sono vermi. Vermi a sonagli. E così andrebbero chiamati. Gli inviati della trasmissione, lo sono già nel linguaggio del corpo: da invertebrati che strisciano vicino agli anziani di paese, accuratamente scelti fra i più semplicioni, per strappare loro la dichiarazione scabrosa. Si fingono benevoli, sfruttando interlocutori poco evoluti, per far sbrodolare una zacchera di degrado intellettuale. Per far passare l’idea che chi non è a favore della loro lercia Weltanschauung è un incivile. E lerci spesso lo sono nell’aspetto. Come quel Bertazzoni che in maniera untuosa, muovendo gli occhietti ravvicinati da babbuino mannaro dietro occhialini anni di piombo, si avvicina ai malcapitati con una prossemica da piattola. Sempre con in bocca la tolleranza e poi dichiaratamente intollerante nei confronti del sapone. E ancora Cerasa, così preoccupato di assicurarsi quel piercing all’orecchio che fa molto ex contestatore da non riuscire ad annodare con decenza la cravatta della rispettabilità borghese. Il quale, giunto in studio dopo un servizio in cui Salvini, rispondendo proprio a Bertazzoni, ripeteva… scandendo… a prova di rincoglionito… che non scusava il folle gesto di Traini, ma che anzi lo condannava esplicitamente… commenta: «Trovo molto grave che Salvini abbia svicolato sul caso Traini; che non abbia condannato senza se e senza ma». Il suo leader politico di riferimento la chiamerebbe fake news perché padroneggia l’inglese; io preferisco chiamarla cacata a spruzzo.

 

 

Nella grettezza di una campagna elettorale postmoderna, e lo dico con il disagio nel cuore, non si vince di ragioni. Non si persuade. Si deve solo picchiare più forte. E grazie alla lucidità di chi non è ideologicamente guasto, corrotto, non c’è allarme populista che tenga. Con questi bisogna scendere nel fango, sporcarsi le mani. Siamo fascisti? Voi siete la manovalanza del nazismo finanziario. Siamo islamofobi? Voi cristianofobi. Siamo bruti? Voi quelli che a Roma chiamerebbero “abbrutti”. Noi siamo i populisti? Voi siete i nemici della patria, traditori del popolo. Noi siamo razzisti? Sì, verso le razze di cretinoidi avariati che scimmiottano irreprensibili intellettuali. Siamo di destra? Sì, perché difendiamo i deboli dalla sinistra che li usa come cavie da seggio. Noi seminiamo odio?! Se proprio vi ostinate lo faremo; ma non verso i profughi, i diseredati, i disperati: verso di voi. Con un verme a sonagli non si discute; lo si schiaccia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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