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Con buona pace di Cottarelli, poco più di quattro giorni dopo aver rimesso il mandato a Mattarella ed essere stato spernacchiato con brio irresistibile dalla vulgata spread-oriented, Giuseppe Conte si ripresenta al Quirinale con un salace: «Ben ritrovati!». Ma ora non voglio spendermi in oracoli sul nuovo esecutivo, quanto descrivere come è stato accolto dai falsari culturali di cui parlavamo nei giorni scorsi. L’hanno presa bene, non c’è che dire! Se prima del voto avevo vaticinato la disfatta dei puzzacchiotti Gedi e dopo le elezioni il prevedibile farneticare dei sobillatori scornati, ora mi godo, insieme a voi, la sinistra reazionaria messa di fronte a un governo Lega-5Stelle. Ricorderete il florilegio di ammiccamenti per un’alleanza fra Grillini e PD, da Confindustria al Foglio, da Bernard Guetta a Pif. Ricorderete la vecchia chioccia Scalfari prendere inopinatamente sotto la sua ala untuosa Gigi Di Maio, affermando che il Movimento sarebbe stato il nuovo grande partito della sinistra moderna. E ora che Di Maio è al governo con la destra xenofoba? Le facce sono sempre le stesse, perché la compagnia teatrale passa da uno studio all’altro, da un editoriale all’altro, dall’Italia all’estero, ma l’avanspettacolo è vieppiù impagabile.

 

 

A tal proposito riporterei parole paradigmatiche, pronunciate dal collega Marco Damilano, che ritrovo sul mio taccuino in marocchino, perché a me xenofobo non lo possono dire: «Un osservatore, un giornalista… ha il dovere di non fare propaganda e di svelare gli argomenti della propaganda». Ammonimento monumentale, venerando. Preso molto sul serio, ieri sera, da Vittorio Zucconi, che nello studio di Formigli metteva in guardia su Salvini all’Interno perché signori, qui siamo di fronte a un irriducibile fascista! Il direttore di Radio Capital ha poi iniziato a salivare con il dito puntato contro un allibito Padellaro, con fare prepotente, impositivo, vagamente squadrista, blaterando a rutto libero di vigilanza antifascista, di Governo Tambroni, di immigrati trattati come merde. Cuperlo, da parte sua, mostrava il frenulo linguale ancor più tremolante del solito a causa dei suprematisti bianchi. Poche ore prima, il suo compagno Delrio aveva definito il leader leghista più modestamente neofascista. Ma tutta la compagnia appare inconsolabile. Severgnini dalla Gruber sembra un ratto siamese appena candeggiato a 60 gradi, mentre Alan Friedman a Piazza Pulita ricorda Oliver Hardy in Atollo K.

 

 

 

Torniamo allora al monito di Damilano, svelare gli argomenti della propaganda. Da dove ricominciare? Da Massimo Giannini che il 30 maggio titolava: «Il fantasma della Grecia»? Giannini – che fra stampa, radio e tv è ormai un formidabile triatleta della fregnaccia multimediale  – parla di Conte come di Re Travicello, sottolineando che Salvini-Di Maio governeranno per interposto avvocato. Mentre se Bruxelles-Berlino provano a governare l’Italia per interposto presidente della Repubblica, il Circo Massimo fa uscire i pagliacci a spiegarci che è un garante della costituzione. Claudio Tito preferiva invece sussurrare di «bufera finanziaria» e di «incubo default», perché per la risonanza di un peto serve sempre una cassa armonica. L’Economist aveva preparato un bel gelato-bomba tricolore mentre Le Point si era più rispettosamente domandato:«I Ciarlatani ci rovineranno?». Di Gunther Oettinger si è già detto a sufficienza, anche se le sue parole hanno trovato la carnevalesca indignazione di chi suggerisce le stesse cose qui da noi. Juncker, con la sua proverbiale sobrietà, si è mostrato più felpato, invitando tutti noi ad andare a lavorare senza preoccuparci dell’Unione Eurusura e dei collaborazionisti di cui sopra. Collaborazionisti che proprio dalle pagine dell’Espresso, con un magistrale pezzo di letteratura giornalistica del 2017 a firma Roberto Castaldi, segnalavano che «L’unico antidoto contro il nazionalismo populista è una UE più forte». E avevano ragione. Purtroppo il veto di Mattarella ha avuto solo l’effetto di far cadere la bautta democratica della Repubblica e mostrare il ghigno autoritario dei fascisti veri.

 

Ma il vero melodramma è quello che in queste ore stanno vivendo i radical-progressisti da dehors, le anime belle di belle letture e belle frequentazioni da Carlo e Camilla in Segheria, quelle che dicono di essere chic perché la parola fa così chic. Il nuovo primo ministro Conte, rappresentante dei primitivi populisti, al confronto con i loro raffazzonati, pidocchiosi e scrofolosi ultimi campioni – Renzi, Gentiloni, Letta – sembra un intermedio fra il Duca di Windsor e John Fitzgerald Kennedy. A Salvini si può sempre dire che è un cavernicolo rassista, a Giggino che è un somaro il cui primo vero lavoro è il ministro del lavoro; ma questo è professore con titoli accademici quasi al livello della Fedeli, e un signore di bel garbo. Titolo ben più alto di finezza anche rispetto a Cottarelli, distillato del saper fare contabile delle élite a livello mondo, la cui immagine in zainetto sintetico vicino al corazziere in uniforme di rappresentanza ed elmo con criniera è stata un’istantanea dello iato fra la solennità evocata e la sciatteria convocata. Vabbé, poco male, ci sono sempre volontariato, découpage e docce esperienziali a cui tornare.

 

Quanto agli intellettuali, ai pensatori, ai maître à préfacer, sarà buffissimo, scrivevo, osservarli mentre prendono coscienza della loro creatura alata: la democrazia. Loro, paladini del popolo, si sono accorti che il popolo non sa niente, non capisce, è zotico. Anzi, come ha tuonato ieri Giampiero Mughini, ex elettore di quel partito per il popolo che chiamavamo PD: «Il popolo non esiste; esistono cumuli di persone». Ma Michele Serra lo aveva di molto anticipato, dimostrandosi ineluttabilmente avanguardia, in un rivoluzionario passaggio-presagio che avevo già riportato in passato: «Non esiste il popolo, esistono le moltitudini di individui che si raggruppano e si dividono, si alleano e si combattono, cambiano vita e cambiano idea. Nessuno – tranne i dittatori e gli imbroglioni – ha il diritto di parlare in nome del popolo». Forse gli italiani hanno finalmente capito, in gran parte grazie a loro, che nessuno – tranne dittatori e imbroglioni – calpesta il popolo per poi strillare al populismo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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