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Come ormai saprete, il magazine Rolling Stone ha pubblicato un manifesto-collage di esternazioni anti-Salvini rese pubbliche da personalità più o meno note. Nel pedestre editoriale del direttore Coppola galleggiano “i pensierini per questi mentecatti” che vanno ad abborracciare una presa di posizione incitante alla militanza buonoide contro un’Italia sempre più “cattiva”. Militanza che schiuma rancore mentre predica benevolenza, facendo sì che anche il più incarognito fra i leghisti rastrellatori di zingari trasudi meno bavosa intolleranza dei tolleranti mentre apostrofano Salvini. Molti dei chiamati in causa (fra i quali Enrico Mentana) si sono smarcati per ragioni di merito (non intendono delegittimare chi è stato democraticamente eletto) e di metodo (si lamentano di essere stati usati contro la propria volontà o a loro insaputa). Ma al di là del mentecatto scaracchione spurgato in aria e tornato immantinente fra gli occhi del direttore – autore di un’iniziativa che qualifica la più vile imbecillità di una certa propaganda – ciò che colpisce è il distillato di maître à penser selezionati da Coppola (perché pubblicamente anti-Salvini o Salvini-scettici). Non sono abituato a giudicare le idee dalle facce che le rappresentano, perché talvolta non mi piacciono neppure le facce che rappresentano le mie. Eppure, come abbiamo già più volte segnalato in passato, le ghigne sono spesso rivelatrici. E nel dazebao anti-leghista di Rolling Stone c’è una tale icastica, variopinta, dirompente concentrazione di facce lubriche e/o patibolari… da divenire quasi un manifesto pro-Salvini, un reazionario endorsement di bellezza e verità a favore del governo e del suo ministro dell’Interno: Fazio, Bignardi, Caparezza, Ernia, Tedua, Pacinotti, Saviano, Rubio, Serra, Paci, Muccino, della Gherardesca… brrr.

 

Salvini li ha chiamati “radical chic” senza tanta vigilanza semantica, sapendo che la locuzione ha l’immediato potere di far prudere le mani anche a una suora di carità. In realtà, nomi del genere farebbero sembrare chic e radicale anche Mario Borghezio. Paolo Mieli – che al contrario incarna autenticamente il profilo del pensatore al caviale – questa sera ha dato una magistrale lezione di saggezza paracula, affondando il suo stiletto al miele nel cuore della questione: io apro le braccia a tutti gli immigrati del mondo perché trovo sia un imperativo morale; ma non abbiamo ancora capito l’effetto che procura sulla plebe il papavero ben vestito e l’artista eccentrico che vanno in televisione a fare i longanimi quando poi del clandestino non sentono neppure il puzzo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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