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In questi quaderni abbiamo più volte bersagliato e sbertucciato plutocrazie, finanzocrazie, eurocrazie, che con ottusa albagia si illudevano di portare a pascolare i rivolgimenti democratici a loro capriccio come caproni incomprensibilmente riottosi. In realtà per osservare ingloriosi esempi di vanagloria pedantocratica è sempre stato sufficiente avere a che fare con i nostri burocrati regionali. Prendiamo una storia calabrese. Di paradigmatica eloquenza. Le tecnicalità sono come sempre caricaturali e quasi inestricabili, per cui non vi annoierò spaccando i riferimenti normativi in quattro, ma il non sequitur amministrativo brilla come una gemma di surrealismo alla Nino Frassica. Il politico cosentino Gianpaolo Chiappetta si appresta a entrare in consiglio regionale in surroga del senatore Giuseppe Mangialavori come primo fra i non eletti al Collegio unico. Mangialovori stesso venne eletto da graduatoria unica, così come il suo predecessore, Wanda Ferro. Ne segue che il suo legittimo successore debba ragionevolmente essere il primo dei non eletti al Collegio unico regionale. Perché un consiglio regionale, dei consiglieri regionali, hanno appunto respiro… regionale. Ma l’orizzonte di una Calabria unita è evidentemente troppo vasto per l’agorafobia intellettuale del burocrate. Che decide di sostituire Mangialovori con Claudio Parente, primo dei non eletti nella circoscrizione Centro, consegnandogli lo scranno. Perché? E chi lo sa? Forse per preservare la rappresentatività di ciascuna provincia. Che poi Parente, su base regionale, stia sotto per percentuale a Chiappetta, evidentemente non interessa al cavillare contro ragione del piccino funzionario.

 

 

 

I legali del Chiappetta sono così costretti a scandire l’inequivocabile, come si fa con le persone ormai rincoglionite dalla decrepitudine, echeggiando parole di tuono, sul genere del «non mettere le pantofole in questo ripostiglio bianco, nonno; è il frigorifero!»: «Il consigliere regionale non rappresenta la provincia di provenienza, ma l’intera regione». La risposta di Palazzo Campanella, dopo mesi di acuminate ponderazioni, arriva chirurgicamente al punto: «Al Consiglio regionale è inibita la possibilità di valutare e/o aderire alla sua richiesta. E ciò proprio per il prescritto difetto che sottrae ai Consigli regionali quella prerogativa tipica delle Camere del Parlamento cui invece è riconosciuta la possibilità di valutare la regolarità delle operazioni elettorali». Una situazione di una certa gravidanza, in pratica. Ma in fondo c’è da capirli, poiché, parafrasando sempre Karl Kraus: Che potrà mai essere il senso di forza di un Nerone, o la furia distruttiva di un Gengis Khan, o l’onnipotenza del Giudizio Universale in confronto con l’esaltante soddisfazione di un cancelliere della divisione per la coscrizione militare dell’ufficio giudiziario distrettuale, il quale, a causa della mancata ottemperanza a un preavviso di presentazione a scopo di computo della tassazione militare, condanna un civile a pagare ammenda di due corone!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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