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«Ma come si fa a dire che non c’è un aumento allarmante di episodi di intolleranza nei confronti dei neri in questo paese?», scriveva il 30 luglio Enrico Mentana. «Anche se si sta al mare non si può nascondere la testa sotto la sabbia», concludeva. E quel “paese” con la minuscola era ben meritato. Mentana aveva infatti ragione, e la piccola svista sulla banda delle uova non cambia l’opinione che delle sue orazioni abbiamo… e neppure la sua: «Che ci sia un’accresciuta ostilità nei confronti dei neri in giro per il paese resta fuori discussione», ha ribadito ieri. Dopotutto, come si potrebbe mettere in discussione una perspicuità così conclamata!? Lo scrivono tutti i giornali! Come ragione aveva il direttore di Avvenire, il savio Marco Tarquinio, quando ci invitava così cristianamente alla vergogna e alla penitenza. Abbiamo sminuito, talvolta deriso, la deriva razzista in atto nel nostro Paese e oggi siamo costretti a un brusco risveglio. Si dirà che alcuni gesti di intolleranza, anche gravi, non fanno di tutti gli italiani un popolo di xenofobi. Ma quando il gesto eclatante si verifica a pochi metri da casa nostra e a commetterlo è una persona come noi, che inviteremmo a cena sulla terrazza in una sera d’agosto, dovremmo davvero tirar tutti fuori la testa dalla sabbia e cospargerci il capo di sterco d’asina. Così miopi, così sciocchi siamo stati nel credere che per ogni atto di intolleranza verso i diversi, gli immigrati, si sarebbero presto verificati almeno due casi di reato da parte di quegli stessi stranieri, di quegli stessi immigrati, pronti a ridare slancio ai nostri balordi convincimenti ideologici. Abbiamo fatto male i calcoli. Mentre gli episodi di razzismo si moltiplicano, i reati degli stranieri continuano a diminuire, fin quasi a evaporare. Oggi, sabato 4 agosto, per un cittadino italiano di mezza età e abbronzatura uniforme, è statisticamente più probabile essere scambiato per un nero e malmenato da un leghista militante di quanto lo sia essere borseggiato da un africano ambulante. Sono dati che dovrebbero far riflettere. E proprio i numeri ci inchiodano a una malafede strisciante, un arrière-pensée che si trascina con noi e che ancora neghiamo nelle viziate stanze della coscienza. Ma come ci sbugiarda, quanto ci rivela quella foga nel correre a segnalare ogni piccola marachella di un extracomunitario – che nella nostra manipolazione diviene crimine contro l’umanità – quasi per rassicurare noi stessi che eravamo nel giusto, contro l’interesse stesso della verità e della collettività!

 

Ma veniamo all’ennesimo caso di cronaca. Milano, stazione Garibaldi, ore 5 di una mattina d’estate. Un giovane richiedente asilo e protezione, il nigeriano Onyekachi Craxi Kecious, si avvicina a una ragazza italiana, che potrebbe essere nostra sorella o la nostra fidanzata. Craxi, con un incedere e delle maniere alla Prévan, ma con afflato pregno del paesaggio culturale di Sukur, si esibisce nel cerimoniale della seduzione. Tra le banchine deserte e le scale illuminate dai neon, il giovane estrae dalla bisaccia della passione il coraggio di dichiararsi… accarezzando la bella sconosciuta con quel fare maldestro tipico degli innamorati. A quel punto, inopinata, avviene una brutale aggressione: la donna, su cui ora indagano i Carabinieri, estrae dalla borsetta uno spray al peperoncino e fa fuoco verso quei grandi occhi neri, che si serrano folgorati… non più dalla beltà della dama, ma dall’odio razziale. E da allora bruciano di lacrime. Quegli occhi che qui in Italia si erano riempiti per così tanti anni – fra qualche pestaggio con rapina e violenze sessuali in concorso – del sogno di un domani migliore. Per quegli sguardi annientati e dolenti, per quelle lacrime ardenti… oggi noi tutti siamo responsabili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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