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Del nostro zazzeruto amico vale ciò che Gadda diceva dei pechinesi: «La vitalità di questi mostriciattoli è una cosa incredibile. Verrebbe voglia di accarezzarli, poi di acciaccarli». Come sanno bene i più attenti lettori di questo blog, divido i giornalisti in colposi e dolosi. Severgnini temo sia un intermedio equivoco: da una parte, vittima incolpevole di un provincialismo ancestrale, è autenticamente infatuato delle coglionerie cosmopolite che uggiola agli italiani; dall’altra è un canuto paraculo, zelante secchione della cialtroneria multimediale. Quando ci racconta il mondo – perché lui è un ragazzo di mondo – quando ci parla dell’America – che lui padroneggia perché ha viaggiato – quando ci sussurra pudicamente di Sua Maestà  – che lui conosce perché è baronetto – noi siamo adoranti frugoloni sdraiati sul tappeto in attesa della favola. Come potremmo non condividere le ammirate parole di Diana Belchase, che presentando l’originalissimo, spigliatissimo e indispensabilissimo volume “Ciao America”, lo introdusse così: «Siamo qui con il carismatico, elegante, sempre affascinante Beppe Severgnini»? Vi dirò… con quella sua faccia da Indovina Chi, quella favella elusiva fuor di mascella volitiva, trovo comprensibile piaccia così tanto a donne anziane e bambini stranieri. Si è più volte dichiarato “non di sinistra”, ma scimmiotta, babbuina lo stereotipo del clerico liberal da Greenwich Village, con una sprezzatura un poco swinging London e guizzi da Woody Allen della pubblicistica.

 

 

Beppe è easy, trendy, progressista, interista, interattivo – come dimenticare la visionaria presentazione del suo “La Pancia degli italiani” su iPad dalla Bignardi? – finto modesto, permaloso come una zia zitella. Quando intervista ricorda il pretino morboso e pippettaro che si frega le mani e incalza per farsi raccontare i dettagli pruriginosi, magari pecorecci, per poi ingiungere penitenze. Audace nel mollare lo studio di Matrix in polemica con il servilismo berlusconiano e stilettante quando pungolò Di Maio da Teodolinda, in un appello dalla venatura vagamente iniziatica: «Se l’onorevole Di Maio vuol venire a Otto e mezzo così facciamo una bella chiacchierata sul mondo, con Lilly, con me… ». E il mondo Beppe lo sa interpretare come un aruspice farebbe con il deretano delle scrofe. Sdegnosamente contro Trump – perché faceva così chic – inconsolabilmente contro la Brexit – perché faceva così urbano – entusiasticamente e testardamente a favore di Renzi – perché allora sei un ciula senza speranza!

 

 

 

Non ci prende quasi mai, Severgnini, ma il piglio da saputello resta ineffabilmente intatto. Come le donnette e gli uomini di chiesa prova sempre a mettersi dalla parte giusta, ma ci capisce poco e la sua penna, intinta nella saliva antipatica, deve spesso ritrattare. Cionondimeno, ho seguito 37 su 42 date dello spettacolo teatrale “La vita è un viaggio” – di cui è autore e attore – e grazie alla sua verve ho pomiciato parecchio. Dandy raggelante, aforista fulminante, in conclusione vorrei celebrarlo con un epigramma da lui stesso declamato e che meglio di ogni altra enunciazione definisce la sua impresa professionale: «Trump rassicura, incoraggia, perché se lui fa il presidente degli Stati Uniti, tutti noi possiamo fare tante cose». E Beppe le ha fatte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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