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Il sinistro raglio del catechismo nonpensante è ineluttabilmente arrivato, come annunciato. La patetica goffaggine del rovesciamento ideologico della verità, della realtà, ha il suono somaro della dissonanza cognitiva e guizzo nemertino nei riflessi pavloviani della Boldrini, di Lerner, della Lucarelli, serpeggiando pestilenzialmente fra i nostri avamposti multimediali. «Anzichè trasformare il dolore per la povera Desirée in un set cinematografico in diretta Facebook, il Ministro Salvini lavori nel suo ufficio al Viminale e metta in campo misure concrete per la sicurezza di tutti e tutte. Io sto coi cittadini e le cittadine che non sopportano più degrado, incuria e violenza», scrive Laura. Il gelido ossequio alla vittima – femmina, minorenne, caduta sotto percosse maschili – portato di striscio, di sghimbescio, proprio dalla sposa dello spirito santo femminista, ci ha lasciato sorpresi e contrariati; nessun pensiero carezzevole per quella giovanissima anima sciagurata, nessun flagello verso i ripugnanti usurpatori; solo la foga uterina di chi, con risibile sforzo, cerca un falso colpevole. Per non trovare se stessa.

 

E poi Selvaggia Lucarelli, su Facebook: «Quindi Cucchi che spacciava e si drogava vittima delle forze dell’ordine italiane era un tossico di merda, Desiree che era stata denunciata per spaccio e si drogava vittima di stranieri era un angelo volato in cielo. La doppia morale di tanti italiani». Distillato di grullismo ideologico, che piega la logica all’idea oca, rivelandosi più abbietto di qualunque bullismo. La storia di Stefano Cucchi è narrata in un film: «L’emozionante racconto degli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi e della settimana che ha cambiato per sempre la vita della sua famiglia. Solo su Netflix. Primo mese gratuito». Il suo volto martoriato è icona, effigie tumefatta di un martirio. Non la fine che si meritava un tossico di merda, Lucarelli, ma il martirio di un ragazzo sventurato, caduto tragicamente innanzi alla iattanza poliziesca. Senza dimenticare Carlo Giuliani, come Stefano vittima degli sbirri, che dà il nome a un’aula del Senato della Repubblica. Non un teppistello, ma un eroe della contestazione, un indomabile drago di fuoco giovanile, che oggi sarebbe civilmente in piazza a manifestare contro i fascismi, contro Salvini. Sulla sua storia si sono girati documentari, uno dei quali di F.Comencini; si sono scritti libri, su Giuliani. Perché nel sinistro pattume culturale post-sessantottino, che ha spalancato finestre di Overton sull’impensabile, ciò era possibile; di più: popolare. Mentre Netflix racconterà la storia di nessuna 16enne drogata, volata in cielo. Nessuna aula del Senato per Pamela o Desirée. Questa è doppia morale.

 

Che scrivere, dunque, della tanto celebrata solidarietà femminile? Quando il senatore Vincenzo D’Anna invitava pubblicamente le ragazzine ad avere più cautela nel mostrare il proprio corpo, per non correre rischi inutili, veniva lapidato come gvetto maschilista, come stegosauvo del pensiero. Perché una donna sarà pur libeva di vestive come vuole senza esseve molestata! Di ubriacarsi, anche. Di strafarsi, pure. Come ci ricorda il vergognoso episodio dei due carabinieri di Firenze, vigliaccamente capaci di approfittare delle “condizioni di minorata difesa” di due ingenue colombelle d’oltreoceano. Minorata difesa, che, come ammonivano allora con zelo castigatore, è un’aggravante allo stupro. Ma quando una ragazzina audace di costumi – non un angelo, ma poco più di una bambina – viene mangiata viva da una clandestinità d’importazione che chiede a noi umanità… non un moto di pietà. Non un’invettiva verso la primigenia ferocia dei maschi. La minorata difesa diviene, inopinatamente, onta: perché in fondo, se ti riduci così che cosa ti puoi aspettare? Questa è doppia morale. Una qualunque donna vittima di stupro e omicidio di gruppo da parte di cittadini italiani porterebbe a magliette rosse e seminari sui femminicidi; grazie a Dio, aggiungiamo. Se poi è una fanciulla forestiera a essere preda dell’uomo indigeno, il caso diviene psicosi. Immantinente presidiata, consolata, anche fosse per un uovo in faccia, per una frittata democratica. I seminari di cui sopra, che ho elencato nella puntata precedente, stimolano le ragazze a riconoscere un’insistenza patologica, un’avance potenzialmente pericolosa, la cinesica di un possibile pervertito. Eppure, le stesse allertate signore, leste a sporgere denuncia per una carezza sotto la coda o per un complimento inopportuno, così implacabili nei confronti della fallocrazia e dei suoi simboli, sembrano poi inconsapevoli dell’inopportunità di accogliere esemplari di maschio scarsamente avvezzi alla creanza, all’urbanità, alla parità fra i sessi; esotici gentiluomini forse troppo ruspanti, che vedono le femmine come bistecche da battere. E magari spezzettare. Selvaggia Lucarelli, cuore delicato, riguardoso, soccorrevole verso qualsivoglia femmina perseguitata, oppressa, nella vita reale come sul web – spesso più vivido e violento della vita stessa – neppure è riuscita a scrivere compiutamente il nome di Desirée, tale la cura che le ha riservato. Perché con la furia irriflessa dell’ideologia, cretinamente à la page, si è scaraventa dal Carrefour-gate al biasimo verso la doppia morale di tanti italiani. Cieca com’è di fronte alla sua.

 

 

Per fortuna Oliviero Toscani ci salva da ogni aporia, intervenendo a Radio Capital. In studio, Vittorio Zucconi e un tragico buffone di cui dimentico sempre il cognome; pertanto non Giannini. Ci si affligge per la deriva pentaleghista, ma si parla soprattuto di ignoranza, sulla quale Toscani è effettivamente apprestato. Dopo aver caracollato nello sproloquio, Oliviero giunge alla stoccata: «Diciamolo una buona volta, chi insulta è un coglione!». E diciamolo. In questa fertile semenza di acutissimi analisti del pensiero urico, concludiamo in bruttezza con un’infiorescenza carnivora, Gad Lerner: «Dopo #PamelaMastropietro guardiamo attoniti la vita e la morte di #DesireeMariottini: dipendente da eroina, figlia di spacciatore italiano e madre 15enne, vittima di pusher immigrati. Vicende tragiche che dovrebbero suggerirci qualcosa di più e di diverso dall’odio razziale». Oh my Gad, che prurigine! Supero il fastidio epidermico perché non è facile scrivere sotto l’assedio di parassiti ematofagi, arduo digitare mentre ci si gratta. Sì, ci suggeriscono qualcosa di più, Lerner: l’odio profondo, ragionato, coltivato, verso la viltà dei protervi, la stupidità degli adulteratori e l’opportunismo dei #farisei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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