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Il razzismo è la sostanza contaminata con cui le canaglie avvelenano i pozzi delle persone dabbene. Chiunque non si dichiara d’accordo con il loro stolido apostolato, è marchiato come razzista. Ora, sull’organismo di un essere senziente questo veleno ha il blando effetto di uno sciroppo per il gargarozzo, solo più nauseante; eppure moltissimi ne sono ancora vittime. Ultimi in ordine di tempo i titolari di un circolo di Susa, che dopo aver esposto un messaggio digitale in cui dicevano di non voler ospitare nigeriani e senegalesi per rispetto verso la memoria di Desirée, si sono sentiti in dovere di rettificare precipitosamente per non venir lapidati dai tolleranti: «La nostra voleva essere solo una denuncia, ma non a sfondo razziale». Nigeriana e senegalese sono nazionalità, non razze; quindi di quale razzismo si sarebbero dovuti scusare? Nessuno sa più di che parla. Né chi accusa, né chi si scusa. E’ un disturbo psicotico collettivo che arriva quasi ad alterare la sensopercezione. Io vorrei tanto che un mancino ufficio procedesse contro di me per istigazione al razzismo, così da potermi difendere in prima persona e verificare se almeno la funzione requirente sa di che parla.

 

Tuttavia, per aiutare i mentecattocomunisti che ci ammorbano con il razzismo anche quando insultiamo un nero perché interista – e non un interista perché nero – ci viene in aiuto la pet therapy, di cui sono da sempre attivo propugnatore. In questo caso si tratta di una pet rhetorical therapy – tecnica del ben discutere grazie all’aiuto animale – di mia recente invenzione, che vi invito a utilizzare in una qualunque disputa sull’argomento; che sia in televisione o nel salotto molto bene dei vostri suoceri. Ne ho sperimentato l’efficacia ieri mattina, in una conversazione con la barista vicino casa, sinistroide da tisana alla malva, ostentatamente pia e segretamente arpia, che vi riporto con fedeltà. Mentre parliamo dell’episodio di San Lorenzo, me ne esco con un’affermazione che nelle categorie overtoniane contemporanee verrebbe catalogata come “impensabile”:

 

 

Sa, le dirò la verità: a me i clandestini fanno un po’ paura.

 

«Che cosa?!? Scusi!? Ma non si vergona di queste generalizzazioni? Lei parla così solo perché è razzista!».

 

In realtà non ho fatto alcun riferimento etnico. E comunque: se le razze non esistono, come faccio a essere razzista?

 

«Nella sua testa esistono, evidentemente!».

 

Nella mia?! Giusto! Dev’essere così. Mi dica, qual è il suo cane preferito?

 

«Il Labrador. Ne ho due! Quindi?».

 

Vedo che anche nella sua esistono le razze, evidentemente!

 

«Ma che c’entra?! Si parla di cani, non di esseri umani! Nei cani ci sono le razze, negli uomini no. C’è solo la razza umana!».

 

Ah sì?! Vile specismo il suo! Chi le dà il diritto di trattare membri di altre specie in una maniera che non sarebbe ammessa per i membri della nostra? Siamo tutti creature di Dio!

 

«Veramente… io… Io amo tutti i cani e sono religiosissima! Quindi ha proprio sbagliato persona, guardi. Ho avuto Golden, Carlini, Barboncini! Li amo tutti! Anzi, le dirò: per me gli animali sono molto meglio degli uomini!».

 

Ma non si vergogna a sminestrare queste generalizzazioni?! E ancora con i riferimenti razziali! Poi mi pare che lei sia humanofoba…

 

«Umache?! Gli animali sono meglio degli uomini e basta! Solo un maschio come lei non capirebbe che intendo dire!»

 

E sessista, oltretutto! In due minuti ha dato bella mostra di sé! Si dovrebbe vergognare… forse far curare…

 

Io… io che cosa?! Vada va, perché mi fa prudere le mani! Quelli come lei andrebbero bannati dal mondo! Non dovrebbero darvi la possibilità di votare, di parlare! Sono 4 euro e 50, così la finiamo!

 

Sempre sui soldi andate a parare, voi sorelle cattoliche di sinistra! E quanta violenza repressa, quanto oscurantismo! Percepisco odio per il diverso. Lei semina odio, signora. Mi fa paura. Ecco, tenga il resto.

 

«Ma seminerà lei odio! Come tutti i leghisti… tutti! Razzisti siete, fate schifo! Razzisti! Pff!».

 

Signora… lo scontrino…

 

 

Questo grottesco battibecco ha messo in luce l’inevitabile cortocircuito del dogma. E a rendersi ridicole non sono soltanto le cassiere da caffè, ma anche le autorità scientifiche. Qualunque fine osservatore del civile consorzio sa perfettamente quanto le semplificazioni razziali degli incolti siano vuote di significato quando mirano a farsi strumento per decodificare i sommovimenti sociali. L’essere umano è viva fusione di natura e cultura. Eppure, è sempre buffo osservare come i paradigmi antirazzisti degli “esperti”, così ideologicamente protesi a trascinare ogni differenza nel magma dell’indifferenziato, si mostrino sempre di gran lunga più cretini. Su Micromega e Repubblica potete leggere un comunicato dell’Associazione Genetica Italiana che è una piccola, preziosa, silloge di maldestre fallacie. A testimonianza del fatto che le velleità antidogmatiche della scienza si rivelano il più delle volte velleitarie, appunto, e che si può essere scienziati senza possedere il benché minimo talento per il ragionamento:

 

«ll primo motivo per escludere che nell’uomo esistano razze biologiche è storico: dal Settecento in poi sono stati proposti decine di cataloghi razziali umani, comprendenti da 2 a 200 razze, e ognuno in conflitto con tutti gli altri. Gli astronomi sono d’accordo su quali e quanti siano i pianeti del sistema solare, i chimici sono d’accordo su quali e quanti siano gli elementi. Come ha sottolineato Frank Livingstone (On the nonexistence of human races, Current Anthropology 3:279-281, 1962) che invece nessuno sappia dire quali e quante siano le razze umane dimostra che attraverso il concetto di razza non si riesce a comprendere la nostra diversità biologica.

Il secondo motivo per escludere che nell’uomo esistano razze biologiche è genetico. Lo studio dei genomi dimostra che ciascuno di noi condivide con qualunque sconosciuto, di qualunque continente, il 99,9% del suo DNA. Non basta: quell’1 per mille di differenze è distribuito in modo tale che ciascuna popolazione ospita in media l’88% della variabilità dell’intera specie umane. In altre parole, individui di popolazioni anche lontane sono a volte molto più simili dei nostri vicini di casa. Ricordiamoci delle innumerevoli vite salvate ogni anno nel mondo dalle trasfusioni di sangue e dai trapianti di organi che coinvolgono anche persone di continenti diversi.

Da normali cittadini, ci sembra però che il problema principale non stia nella maggiore o minore esattezza con cui si adopera il termine razza nel discorso pubblico, ma nel senso di queste esternazioni. L’articolo 3 della Costituzione stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, senza distinzione di razza (né di sesso, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali). Proporre iniziative in favore di questo o quel gruppo di cittadini individuati su base razziale, non solo non ha senso dal punto di vista biologico, ma soprattutto si pone in evidente contrasto con la Costituzione».

 

 

Partiamo dal fondo. Che il testo mostra di aver toccato. Sì, genetisti, la nostra Costituzione stabilisce la pari dignità sociale senza distinzione, precisamente perché vi sono distinzioni. Se non vi fossero distinzioni, stabilire la pari dignità sarebbe esercizio superfluo. Pari dignità fra i sessi, perché vi sono sessi diversi; pari dignità fra religioni, perché vi sono diverse religioni, etc. Quindi se le razze non esistessero, l’articolo della Costituzione non avrebbe alcun senso a tal riguardo. E’ dunque la Costituzione ad essere in evidente contrasto con l’idea che non esistano razze. Tornando in cima, il primo punto è invece un volgare argumentum ad ignorantiam, ove si legittima la propria tesi per mancanza di prove del suo contrario. Risibile stratagemma che pretende di dimostrare, ma non dimostra alcunché. Queste puntualizzazioni sono semplici esercizi di igiene mentale, utili a rimarcare quanto inattaccabile sia il rigore logico degli scienziati. Perché “ce lo dice la scienza”, tipico occhiello di Repubblica su temi controversi, è un’altra somara fallacia, ovvero un argumentum ad auctoritate, scientemente utilizzato per zittire sul nascere ogni obiezione. Ma vabbé, sono imbranati sotterfugi degni del peggior giornalismo ciabattone. Torniamo ai genomi, dove la scienza giuoca in casa.

 

Ammettiamolo, dunque: un eschimese condivide con la mia vicina di casa tedesca e con il vostro affezionatissimo il 99,9% del proprio DNA. E allora? Saperlo modifica il fenomeno? La mia interazione con esso? Farei fatica a distinguerli, crucca ed eschimese, diventassero inopinatamente coinquilini meneghini? Mi approccerei a loro nello stesso modo sapendoli biologicamente identici, pressoché? Fra un Lupo Grigio e un Chihuahua ci sono soltanto poche decine di geni di differenza. Poche decine. Eppure quando ti corre incontro in cerca di pappa l’uno in luogo dell’altro, comprendi che basta un nonnulla per produrre significativi scarti. E l’impronta fenotipica della mascella che ti brama, le libbre per pollice quadrato di pressione sulla trepida carne del tuo culo, saranno ben più eloquenti dei genomi nello stabilire se esistono o meno avvertibili differenze.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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