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«L’impaginazione in generale, i caratteri, la fruizione della pagina non sono accattivanti. Poco giovane», segnala il signor Giuseppe Camaldo Vassallo a Enrico Mentana sul profilo Facebook del giornalista. «Scusi, ma lei è quello della foto? E ci vuole spiegare cosa è giovane e cosa è accattivante?», replica il direttore ed editore. Immantinente aperto alle critiche, impermeabile all’impermalimento come alle lusinghe dell’autoreferenzialità, con le pagine correlate di Gino Strada e Roberto Saviano, così ci appare Open: un’epifania di libera informazione multimediale. Ora, apprezzando l’aristocratica saviezza di Mentana, così superiore alle facili smargiassate, mi sento quasi in colpa nel recensire i primi gemiti di questa creatura editoriale; con un profilo professionale pericolosamente conforme ai vandali della Rete, poi. Tuttavia debbo.

 

 

Il minimalismo chic del web design – capace di ricreare online la familiare atmosfera del nido di cornacchie – è lì da vedere, ma preferisco concentrarmi sui contenuti. Esordisco così con il fondamentale “Come utilizzare Google per tacitare gli odiatori di Open”, firmato David Puente. Il temutissimo cacciatore di bufale ha tosto messo bianco su grigio come disinnescare i mitomani del pregiudizio. L’attacco è micidiale: «Pensavo di iniziare con un articolo di debunking, ma siccome… ». Io non so che cosa sia il “debunking”, forse perché non sono capace di utilizzare Google o non sono giovane e accattivante come Mentana, ma Puente scrive con la disinvoltura di un adolescente acciabattone e un po’ scacciafiga. Cionondimeno tengo barzotto… perché sono sempre arrapato dal giornalismo post-convenzionale: “Autogol del Financial Times, George Soros uomo dell’anno” è la seconda fatica che affronto. Non ho talenti analitici sufficienti per pronunciarmi sulla tesi del pezzo – volpina e ferina al tempo stesso – ma ho superato in tromba la quarta elementare e posso sdilinquirmi con il dettato di un altro attacco magistrale: «A volte le scelte dei cosiddetti sovranisti (o populisti) fanno discutere, disorientano, o peggio». Ma chi è questo mitologico Soros? Il finanziere viene raccontato nell’intero arco della sua parabola esistenziale, per fornire ai lettori di Open l’indispensabile contesto; la retrospettiva è rigorosa, ai limiti del monografico, con pennellate ritrattistiche che rimandano alle luci e alle ombre della gloria di un Velásquez: «Soros è l’emblema assoluto di coloro che i sovranisti – non solo in Ungheria – combattono». Quando arriverò alle medie superiori saprò squadernare giornalismo con questa padronanza? Lo volesse il cielo! Lo volesse l’Europa!

 

Una tale vigilanza semantica ed ermeneutica, accesa d’ispirazione, intimidisce, ma al fine di prendere coscienza è talvolta necessario venire inchiodati dai divulgatori digitali più evoluti ai propri rudimentali riflessi analogici; così, svesto la mia calugine da primate (singolare di primati, ndr) e proseguo l’odissea nello spazio di un’informazione che viaggia come stazione orbitante in rotta verso il futuro. Quando si parla di soldi, i riferimenti quantitativi soli danno proporzione alla realtà. Scopriamo allora in che misura il filantropo ungherese – capitano coraggioso e visionario di tutta quella galassia della filantropia che va da Goldman Sachs al Bilderberg, dalla Trilateral Commission all’Aspen Institute – sostiene le proprie cause: «A suon di miliardi».

 

 

In genere la maniacalità e il perfezionismo sono nemici della verve. Ma qui il frizzo è contagioso e mostra tutte le grazie della pubertà senza manifestarne le regressioni puerili: «Un grazie ancora a tutti i giornali, on line e no, che hanno parlato di OPEN con tutti gli accenti. Un grazie particolare al Primato Nazionale, rivista indipendente legata a Casapound, a cui non siamo piaciuti per niente. Citiamo: “Infatti, se si va sull’home page – al netto del lugubre sfondo nero e dell’impaginazione un po’ scomoda – si scopre immediatamente qual è l’operazione di Mentana. L’obiettivo è sì far parlare i giovani ai giovani di cose per giovani. Ma dando grande rilievo a ideologie ben precise, dettate dal pensiero unico dominante”. Un giudizio a nostro avviso sballato, e comunque per carità legittimo. Ma ci colpisce quel rilievo cromatico, che anticipa una svolta rivoluzionaria: quando da quelle parti lo sfondo nero è diventato lugubre?».

 

Un grazie a te, Open. Non fia sanza mercé la tua parola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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