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Spassosa serata di autoflagellazione sinistra su La7, a testimonianza che l’ebetudine è la vera cifra della rete. L’intervista di Giovanni Floris a Matteo Salvini è stata a tal punto maldestra da far eruttare cori sovranisti anche dall’impassibile gargarozzo di Pagnoncelli. Già in partenza al leghista non si può rimproverare la coerenza: se si veste da vigile del fuoco fra i vigili del fuoco, da poliziotto fra i poliziotti, così si concia da sinsitroide fra i sinistroidi, ostentando in studio Clarks con calzini a righe orizzontali. E quanto alle trattazioni non deve neppure sforzarsi di scimmiottare la Le Pen per uscirne come un principe; gli basta aspettare che l’avversario si renda pedante e repellente da solo, con un’ipocrisia talmente lubrica da lasciare tracce di unto sul televisore. Ma anche spruzzi di ironia involontaria ci hanno investito, con l’isterico ghigno del conduttore ad affermare in uno slancio di burbanza discriminatoria alla Himmler: «Ma ministro, lei va da amico in Romania, in Polonia, in Ungheria, in quei posti lì! Brrr!». Certo, nel tirare la volata elettorale a noi sovranisti c’è la feroce concorrenza della magistratura, ma l’informazione progressista non si dà per vinta, radunando tutte le piattole subculturali della faziosità rasoterra, pronte per essere calpestate con un colpo di tacco dalla sbrigativa controparte.

 

L’arrivo di Michela Murgia ha poi piantato l’ultimo chiodo nella bara della società civile e disturbato il sonno eterno di Gabrielle Bonheur, perché se la Murgia è radical chic, come affermato da Giovanni, la parola chic dovrebbe scappare dall’Europa in direzione Libia sui gommoni degli scafisti. Ma la Murgia è sicuramente più raffinata che acuta, poiché riesce contestualmente ad affermare che i sindaci disobbedienti hanno ben fatto ad infrangere la legge per tutelare la sicurezza delle comunità di riferimento e che Salvini non può impedire gli sbarchi con la scusa che lo chiede il popolo: Istruzioni per diventare cretinisti, Einaudi Editore. Infine giunge Irene Tinagli – sinistramente somigliante alla stessa Irene Tinagli che avevamo intercettato due ore prima dalla Gruber, magnificata da Pagliaro – impegnata a promuovere la “Grande ignoranza” al potere in Italia nella sua nuova, fondamentale, fatica saggistica. In parlamento ci sono meno laureati oggi di 70 anni fa, informa sdegnata l’economista. Robe da populisti! I titoli di studio dovrebbero essere un prerequisito necessario per tutte le imprese a venire. Oggi invece c’è gente che riesce a far carriera ai massimi livelli senza sentire neppure l’esigenza di completare un percorso accademico. Che vergogna! Svergognati! La questione è delicata, complessa, piena di input ed output, e noi poco studiati non padroneggiamo gli strumenti per affrontarla come sanno fare intellettuali del calibro di Cuperlo, che Tinagli cita nel suo libro. Avendo terrore dei libri – così lunghi, tortuosi, enigmatici – noi ignoranti ci auguriamo più modestamente che il direttore Mentana si laurei al più presto grazie a qualche maratona di corsi serali e poi ne dibatta su Facebook e su Open.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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