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Le persone molto impegnate nel sociale – come i politici, i giornalisti o i mafiosi – non hanno il tempo di approfondire, soppesare, ponderare. Sono animali d’azione, per i quali un istante di riflessione può fare la differenza fra la vita e la morte. Quindi mi limito a una svelta e lacunosa biografia di Wikipedia per ricostruire la parabola umana di Salvatore Buzzi: «Buzzi si finanziava un tenore di vita sopra le proprie possibilità rubando assegni dalla banca dove lavorava, che un suo complice, Giovanni Gargano, un pregiudicato ventenne, s’incaricava di incassare. Gargano cominciò a ricattare Buzzi, che il 26 giugno 1980 lo uccise con 34 coltellate».

 

Ebbene, malgrado tali movimentate vicissitudini, martedì scorso alle 14.07 il direttore Enrico Mentana si esponeva così: «Spunta sui social la lettera in cui Buzzi dice: votate Zingaretti. E’ linkata a un servizio del Tg1. Tutto vero, solo che il servizio è di 4 anni fa, e la lettera di 15 anni fa, quando certo Buzzi era, agli occhi di tutti, un’altra persona».

 

Ecco l’ennesimo epigramma da scalpellare nella pietra filosofale del giornalismo! In passato sono stato rimproverato per aver osato confrontarmi con tali ciclopi della professione. E neppure l’imprudenza della giovane età mi servì da scusante. Oggi non ripeterò la stessa sprovvedutezza. Come impensierire invero una tale impenetrabile contezza? Un tale principesco prosare? L’avversario è, agli occhi di tutti, di un altro livello. Dettato impeccabile – con un utilizzo augusto dei segni d’interpunzione – logica indefettibile, imparzialità inattaccabile. «Certo», «agli occhi di tutti», «un’altra persona»: che modificatori semantici impositivi! Che locuzioni imperative! Come si può competere con un tale imperio intellettuale? Se Buzzi era certo, agli occhi di tutti, un’altra persona, Mentana è sempre, agli occhi dei pochi, la stessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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