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Come scrivevo a un amico in relazione ai fatti di San Donato, il meccanismo di neutralizzazione delle dissonanze dei progressisti immigrazionisti “in buona fede”, cioè delle bertucce ammaestrate, è da trattato di psicologia clinica animale. Se il criminale è un africano immigrato clandestino… ha agito male per colpa nostra, perché non lo abbiamo accettato e integrato; se invece il criminale è un africano integrato, allora non è più africano, ma italiano… quindi la colpa è nostra comunque. Ma possiamo procedere nell’analizzare le macroscopiche incoerenze generate dal disagio intellettuale di questi garruli animaletti. La bertuccia progressista rifugge più di ogni cosa al mondo la presa di coscienza del proprio stato; quindi altera le sue rappresentazioni. Dall’esterno lo spettacolo è patetico, straziante, ma dall’interno raggiunge lo scopo dell’autosuggestione. La bertuccia progressista si crede creatura evoluta, nobile e illuminata. Nell’approcciare l’ennesimo assassinio o stupro o molestia o atto di vandalismo di un immigrato, la sua frase mantra sarà: «Perché, gli italiani non delinquono?!? Non importa nazionalità, colore della pelle, sesso o religione: un criminale è un criminale! Lo volete capire, razzisti che non siete altro!?». Tuttavia, quando è il gesto eroico a stagliarsi e un immigrato ne è casualmente protagonista, la sua provenienza viene evidenziata, onorata, glorificata e la bertuccia ammaestrata griderà: «Avete visto?!? Gli immigrati sono molto meglio degli italiani e dovremmo vergognarci a respingerli!». Così il crudele Sy Ousseynou viene dimenticato, il piccolo Riccardo trascurato, mentre il dolce Ramy finisce da Fazio.

 

 

Prendiamo ancora la differenza fra i sessi. La bertuccia progressista, così come non crede nelle razze, non crede nei sessi o negli stereotipi di genere: uomo, donna, uguali sono. La parità – che si estende dai diritti fino a sancire l’irrilevanza del dato biologico di nascita – è un prerequisito ontologico di civiltà. Ma quando l’omicidio colpisce il sesso debole, la bertuccia progressista inopinatamente discrimina, e lo chiama femminicidio; urla al femminicidio, manifesta, fa battaglie contro il femminicidio. Ma ancora, se a commettere femminicidio dovesse essere un immigrato – che in forza della propria cultura reputerà il valore della vita di una donna pari a quello di un animale da soma – l’episodio verrà neutralizzato con un’immediata rimozione. E così via. Ma alla scimmietta progressista e soprattutto ai suoi addestratori non interessa realmente Ramy, se ne servono soltanto. Gli incantatori di bertucce, dai pulpiti sacri delle chiese a quelli profani delle televisioni, santificano l’utile innocente solo per eccitare le bestioline intorno, ma il loro è in realtà un sacrificio. In ultima istanza, infatti, l’unità del collettivo manipolato mira alla negazione di ogni singolarità. La beffa rivolta a quella società che fa dell’individualismo la sua cifra e che crede di aver emancipato il singolo dall’oppressione della tradizione. La discriminazione a favore dei poveri migranti che l’addestratore trasfonde è l’arma con cui depredare gli ultimi giacimenti identitari che resistono alla spersonalizzazione del globale; il compimento definitivo del distacco fra soggetto e oggetto, fra persona e famiglia, fra comunità e nazione. E per farlo il singolo va sradicato, divelto, annullato attraverso l’infernale estirpatore dell’astrazione. Perché solo sotto il dominio livellatore dell’astratto si potrà compiere l’uguaglianza repressiva totale: neri, bianchi, italiani, stranieri, donne, uomini, bambini… tutti egualmente e coscienziosamente bertucce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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