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«Bendare un indagato è reato», ha dichiarato con grande austerità il premier e giurista Giuseppe Conte. Il Corriere della Sera, contestualmente, ci informava come i media americani siano rimasti sconcertati dopo aver visto le immagini di un loro connazionale «illegaly blindfolded». Il maggior strumentista italiano della réclame progressista, Enrico Mentana, non ha perso occasione di fare il trombone sulle note dell’immagine incriminata: «Una fotografia che documenta qualcosa che non si può accettare, neanche sapendo di cosa è accusato quel giovane».

 

Ora, una piccola nota biografica può rivelarsi giovevole: quando studiavo a San Diego venni ammanettato, chiuso a spintonate nell’auto della polizia e scortesemente interrogato a lungo con una pila in faccia. Per un’inversione a U, eseguita al volante di un Suzukino Santana, a passo di lama. Eppure l’azione degli agenti fu perfettamente in linea con il protocollo. Lo strattonarmi, l’ammanettarmi, il segregarmi, l’intimidirmi e l’interrogarmi come fossi il Public enemy No. 1, senza formalizzare alcun capo d’imputazione, si delinearono come “diritto” della forza pubblica. Il giovane statunitense ha sventrato alle spalle un carabiniere, Mario Cerciello Rega, uccidendolo. Ma la benda sugli occhi durante l’interrogatorio vìola il protocollo. La benda sugli occhi mette in discussione lo “Stato di diritto”. La benda sugli occhi scandalizza e offende la misericordia dei giusti.

 

 

Ciò che realmente non è più possibile accettare è l’ipocrisia pelosa di queste esternazioni da pretini falsi del garantismo, anche sapendo (“neanche sapendo” andrebbe evitato) quanto venerata sia fra gli animi fasulli. Ma gli animi fasulli, che pugnalano ogni aspirazione alla eusebeia con il loro meschino e strumentale ossequio alla norma, siederanno sempre a testa china, ammanettati, ciechi, di fronte al libero pensiero. E come assassini dinanzi alla giustizia, da loro vigliaccamente pugnalata alle spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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