Uno dei più grandi crucci della semantica lessicale italiana degli ultimi decenni è stato quello di definire lo “sfigato”. Tipo umano facile da riconoscere, difficile da delineare. Se l’étymos del lemma è “senza figa” – di cui denunciamo convintamente il ributtante sessismo – molti avvertiti linguisti si trovano d’accordo sul minimo comun denominatore lato sensu, identificabile nella mancanza di autoironia: lo sfigato si prende sul serio, «ci crede». Personalmente, ho sempre riscontrato una sfumatura più sottile nell’accezione e trovo risieda nello spirito gregario che si immagina indipendente. Lo sfigato incarna chi è retroguardia ritenendosi avanguardia; chi è schiavo e si […]