E’ tutta questione di… schifezza.

Da qualche giorno spopola su Twitter un hashtag interessante, promosso dal quotidiano on-line Affari Italiani, dal contenuto eloquente: #milanolatrina.

Andate a visionare il video nel sito del quotidiano per rendervi conto di come si vive a Milano, quella dell’Expò 2015. Ma non mi riferisco alle tangenti, alla corruzione e alla collusione, comportamenti verso i quali il popolo italiano non prova quasi nessuna reazione concreta (altrimenti, le cose sarebbero cambiate dall’inizio della seconda repubblica…), ma alla Milano lercia e visibilmente sporca, esattamente come molte altre città italiane. E non si tratta di un lerciume solo di origine extracomunitaria, ma di azioni laide frutto della continua mancanza di educazione civica, materia esclusa dalle scuole.

Io propongo un nuovo hashtag: #italiaquasilercia

Ho avuto occasione di spiegare la differenza che esiste fra la partecipazione alla regola e la valutazione della regola stessa. La prima comporta l’adesione al quel comportamento da parte della maggioranza, in maniera acritica. Per esempio, all’incrocio quando c’è il rosso mi fermo, col verde posso passare. La valutazione della regola comporta invece la decisione di aderire o meno ad essa. In sostanza, quando una regola viene partecipata, soprattutto nelle generazioni precedenti, si ubbidisce e si mette in atto un comportamento conforme alla regola, e adatto alla situazione contingente.

Oggi le cose sono un po’ cambiate per cui nonostante la regola dica di attendere il verde e non passare col rosso, questo lo si fa a Genova e forse non lo si fa a Firenze. Infatti, nella città toscana del nostro Premier non si usa fermarsi al rosso, ma fare come se il semaforo fosse verde, in nome della libertà illuministica che caratterizza la città: molte menti fiorentine hanno la luce della propria ragione, e spesso confondono (proprio per troppa luce…) il rosso con il verde.

L’adesione alla regola può interiorizzarsi al pari di un atteggiamento mentale e questo processo avviene durante le tre fasi dell’infanzia (prima, seconda e terza infanzia). Esso dipende dalla famiglia e dalla scuola, e non dalla famiglia che delega alla scuola o dalla scuola che condanna la famiglia. Famiglia e scuola sono, nella nostra mente occidentale (ma non solo), sia infantile che adulta, luoghi in cui le regole accettate prendono forma. Esse verranno trasferite nella società, che è solo l’estensione territoriale di questi due luoghi primari. Un’altra estensione, degli stessi luoghi, famiglia e scuola, dei nostri tempi, sono i social network. Ovviamente è valido anche il contrario: la famiglia e la scuola sono lo specchio della società, quindi dei social network.

Ecco perché l’Italia è quasi lercia: perché va male la famiglia, la scuola e di conseguenza tutto il resto, anche se le terapie esistono e sono oltremodo conosciute, tanto dagli esperti che dal buon senso comune. La prima di queste terapie potrebbe essere una famiglia nella quale circolano regole precise, dove i genitori non sono gli amici dei figli, ma esercitano il loro ruolo nei fatti, ossia negli esempi; una seconda terapia potrebbero essere le azioni  con cui i genitori sostengono il lavoro in classe dei maestri, invece di far circolare in casa l’idea che a scuola esistono solo incompetenti. A proposito della scuola, propongo invece una sola grande terapia, citando K.R. Popper: “Una buona scuola la si riconosce dalla sua capacità di mandare via i cattivi maestri”.

Ecco tre semplici terapie, ma sono cure faticose, ed oggi la fatica è bandita.

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