È tutta questione di… cervello.

Renzi dichiara ad Assisi, il giorno di San Francesco, il 4 ottobre 2014, che sono sostanzialmente tre i problemi nodali del Paese Italia: il lavoro, la scuola e la Pubblica Amministrazione. In effetti, sono d’accordo, salvo il fatto che questi tre sono sì i più macroscopici problemi della nazione, ma ne esiste uno che li ingloba tutti e che li rende pressoché insolubili ed è la quasi totale “mancanza di progettazione esistenziale a lungo termine di un’intera nazione“.

È evidente che questa affermazione nasce dalla mia visione antropologico-mentale, basata sulle evidenze cognitive della mente umana, la quale senza un progetto a lungo termine non riesce a produrre motivazione al lavoro, nella speranza di realizzare un progetto, e quindi raggiungere un obiettivo.

Purtroppo, checché ne dicano i sindacati (antica e preistorica rovina del nostro Paese) e la Confindustria (miope associazione di imprenditori dal cervello che spesso sa di stantio), senza un progetto che miri a forti investimenti nella scuola non andremo da nessuna parte. E non è questione solo italiana, ma generale e, appunto, antropologica, perché nessuna nazione in queste condizioni, anche se fosse in altra posizione geografica e con altra storia alle spalle, potrebbe trovare uno spiraglio aperto verso il futuro. Il futuro è sempre in mano alle due agenzie educative per eccellenza, la famiglia e la scuola, e senza di esse non può esistere futuro in nessuna parte del mondo.

È così e su questo sistema solare non può essere altrimenti.

Vogliamo davvero riformare, per esempio, la scuola? Bene, lo possiamo fare solo eliminando il valore legale del titolo di studio. Senza il suo valore legale, in nome del quale basta essere laureati e sia pur deficienti per governare una istituzione pubblica, privata, entrare in qualsiasi CdA, assumere cariche politiche ed amministrative vincolanti qualsiasi forma di sviluppo, ogni agenzia educativa insegnerebbe per vocazione, per merito e non per ottenere finanziamenti.

I bravi si misurerebbero davvero sulle conoscenze, sulle buone pratiche, perché essere laureati o no sarebbe la stessa cosa di fronte alla progettazione del futuro e all’iscrizione ad un concorso pubblico. Allora, con l’assenza del valore legale del titolo di studio, le Università diventerebbero davvero virtuose e le famiglie manderebbero i figli dove effettivamente si può imparare qualche cosa, diventando davvero migliori rispetto a coloro che non vanno all’Università. Se il diventare migliori pare non interessi nessuno, allora è molto più produttivo diventarlo andando a lavorare, fin dall’inizio, senza permettere ai dirigenti scolastici, docenti ed amministrativi, di vivere alle spalle dei sacrifici delle famiglie che fanno studiare i figli, nuovi asini di un Paese che potrebbe farcela, ma solo al prezzo di atti di vero coraggio.

Una scuola meritocratica è una scuola che costa fatica ai genitori e ai figli, che al suo termine dà qualcosa in mano che non è solo un inutile foglio di carta, ma una capacità mentale in grado di trasformarsi in abilità mentale, in base alle esigenze del mondo, non sulla base dei concorsi pubblici che vogliono una laurea, presa a qualsiasi costo ed in ogni dove, quando non è direttamente comprata in qualche compiacente Stato estero.

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