È tutta questione di… limiti universali.

Mi è capitato di scrivere che le persone intelligenti sono anche persone buone, e questa affermazione non è stata accettata serenamente da qualche lettore.

La ragione del disappunto potrebbe risiedere nell’idea che una persona intelligente può anche essere furba, persino scaltra, e dunque trovarsi nelle condizioni di “tirare l’acqua al proprio mulino” ignorando l’eventuale esistenza non solo dei mulini altrui, magari quelli di altri fratelli e vicini di casa, ma persino dell’acqua a disposizione.

Ecco perché, in questo nostro Occidente, leggiamo spesso opinioni e sentiamo affermazioni nelle quali si sostiene che “gli affari sono affari” ed è intelligente cercare di trarre il massimo profitto da qualsiasi forma di scambio, persino quando si tratti di scambi affettivo-relazionali.

In effetti, se “gli affari sono affari“, una persona che non sia in grado, specialmente nel mondo della finanza, di “fregare” il proprio interlocutore cercando di ottenere il massimo risultato con il minimo impiego di mezzi e di rischi, non viene certamente considerato stimabile e sarà dunque valutato come una specie di “demente finanziario”.

Bene, questo tipo di ragionamento ci ha condotto alla situazione nella quale siamo: diseguaglianza quasi incolmabile fra una ricchezza sempre più ricca e solitaria, e una proliferazione della povertà che ora si rivolge, con l’ausilio del concetto ad hoc di crisi, ad un numero maggiore di persone della middle class.

È dunque una fortuna che un finanziere milanese abbia presentato da qualche giorno, alla Galleria dell’Accademia di Firenze, il suo testo, intitolato emblematicamente La finanza senza Dio, nel quale si dichiara l’importanza antropologica del limite e della misura, elementi che non appartengono all’intelligenza umana mentre fanno parte di quella divina.

Un divino che supera i dettami del Vangelo, all’interno del quale questo concetto viene continuamente profuso, in numerose parabole ed insegnamenti, grazie ai quali si giunge ad affermare che ogni essere umano è in questo mondo un servo inutile. In altri termini, il nostro essere uomini dovrebbe seguire dei parametri di riferimento extra-umani, ossia divini, grazie ai quali ogni nostra azione vincente dipende dalla nostra capacità di accettarne i limiti, desiderando un benessere plurale e non singolare, come accade alla attuale e catastrofica finanza.

Secondo l’autore del testo, Paolo Alazraki, in questo momento solo la finanza islamica può definirsi etica, nel senso che è la sola che contiene nel suo concetto di guadagno anche quello di accettabile guadagno, ossia ragionevole secondo il quale un essere umano può aumentare il proprio livello di benessere senza abbassare notevolmente quello altrui.

Ecco che l’unica finanza che sarà possibile nel mondo che andremo a definire anche durante questa crisi sarà quella dei profitti accettabili, in nome dei quali si avrà ancora un mondo nel quale poter spendere quello che si guadagna, mentre nel modo attuale sarà necessario cercare velocemente un altro sistema solare.

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