È tutta questione di… saper giudicare.

Accade ancora una volta ed è la solita storia, vecchia come quelle che si perdono nella notte dei tempi, anche nelle nazioni che si dicono civili: abusi sessuali, domini e sottomissioni per dimostrare di essere virili, forti e dunque persino superiori. Il fatto è che, in questo caso, di “superiori” in senso stretto si tratta, perché parliamo di militari in carriera, di stanza presso il Comando Sub Incursori di Le Grazie, in provincia di La Spezia, la ridente cittadina del levante ligure già appassionata a tematiche erotico-pornografiche esercitate in gruppo e nei Suv.

Nulla di nuovo in tutto ciò, perché la visione che l’Occidente continua ad avere della figura femminile è e rimane, purtroppo, sempre la stessa: una pseudo-persona che resta innanzitutto femmina, alias terra di conquista simil-far-west, da sottomettere, possedere e vincolare in tutti i modi possibili, con la predilezione per il ricatto.

In questo caso, visto che si tratta di un ambiente militare, le forme di dominio gerarchico sono strutturali all’organizzazione stessa della professione, con la possibilità che esse sconfinino facilmente in atti gratuiti e personali che poco hanno a che fare con la gestione di un plotone. In effetti, la storia di queste sette soldatesse non è un problema necessariamente legato al rapporto secolare e viziato maschio-femmina, quanto l’espressione di una valutazione errata, oppure persino mancata, del quoziente intellettivo dei militari accettati ed in forza presso alcuni reparti sensibili delle nostre Forze Armate.

La giustizia militare e civile, che in questo caso sta procedendo ad una velocità invidiabile per il mondo civile dei cittadini semplici non graduati, dovrà in effetti valutare il comportamento di questi sottoufficiali sia dal punto di vista penale civile che da quello militare, ossia considerare la sanità di mente di questi soldati, ed io personalmente non escludo nemmeno l’opportunità di considerare in tale modo le sette soldatesse. Le indagini preliminari si sono concluse, e vedremo se le persone verranno rinviate a giudizio.

I militari che ho l’onore di conoscere e con i quali ho anche lavorato, quelli seri ovviamente, allontanano dal loro stile di vita qualsiasi forma di violenza ed aggressività, come fossero i primi pacifisti, proprio perché sono ben consapevoli di essere preparati a rispondere  con adeguata forza difensiva ed offensiva quando siano messi di fronte ad un conflitto non risolvibile diversamente.

Ecco perché, mi chiedo secondo quali parametri siano stati reclutati questi individui, così lontani dall’idea di onestà e integrità che dovrebbero incarnare, sia all’interno del loro esercizio professionale che come espressione di uno stile di vita irreprensibile specialmente per quanto riguarda il rapporto con l’altro sesso, ma è probabile che non si fossero sottoposti da molto tempo a qualche visita psichiatrica militare.

Sarebbe il caso di monitorare con maggiore accuratezza la vita mentale dei nostri soldati, almeno per sperare nel meglio e nel futuro.

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