ospitalitàÈ tutta questione di… ospitalità.

La verità è che quando pensiamo alle suore di clausura, la nostra mente va ancora dritta a Gertrude. La ragazza che, ne “I Promessi Sposi”, Manzoni destina alla vita claustrale, per volontà di un padre-padrone, predestinandola a diventare la “sventurata” monaca di Monza.

Ma le cose non stanno così.

Vi sono alcune donne la cui vocazione è quella di affidarsi al mistero del silenzio, che le avvicina e le unisce alla presenza del Cristo. Tramite quel silenzio, trasformano in preghiera i sentimenti, le intenzioni ed i tormenti, oppure rendono grazie, per le gioie di un’umanità che è fisicamente separata. Ma non per questo estranea, né sconosciuta alle suore di clausura.

Nella visione cattolica, le suore di clausura rappresentano il “polmone verde” di un mondo frenetico, poco incline all’ascolto e certamente produttore di immondizia spirituale. E lo vediamo tutti i giorni in televisione e in rete.

Ma sono anche l’oasi di sosta, dove l’umanità offesa e sola può rigenerarsi, perché le suore di clausura sono solo separate dal mondo, ma non gli sono estranee. Ecco perché il Papa ha concesso loro l’utilizzo dei social. E lo ha fatto fornendo anche indicazioni puntuali sulle modalità e le finalità. Io sono d’accordo con lui.

È ben vero che la nostra realtà planetaria vive in uno stato di perenne connessione in una sorta di trance da condivisione, like, follower, etc., e chi non è sui social, di fatto, sembra non esistere affatto. Ma è anche vero che avvicinare gli estremi è sempre fonte di arricchimento reciproco. Una fune può svolgere al meglio una delle sue molteplici funzioni quando unisce due estremità separate. E in questo caso può persino accorciare la distanza fra le due, senza per questo creare confusione. Lo stesso vale per le monache di clausura, tenendo presente che, per quanto le concerne, potrebbero anche fare a meno di utilizzare i social. In effetti, il Papa raccomanda con precisione come dovrebbero essere concepiti i social da parte loro, visto che svolgono la missione di pregare per la comunione dell’umanità con Dio. Si tratta dunque di una loro libera scelta, di un’opzione alla quale possono rispondere affermativamente o meno.

Siamo noi, del mondo esterno, che abbiamo bisogno di essere agevolati nell’entrare in contatto con il mondo claustrale, perché l’attingere alla vita contemplativa è sempre benefico. E quando dico “sempre” intendo dire che lo è per tutti, anche per chi cattolico non è. Perché non dobbiamo confondere la religione con la religiosità. Sono due cose profondamente diverse, anche se collegate fra loro.

Tutti viviamo nella terra dell’incertezza, a tratti del nonsense, dell’instabilità. Il credente cerca pace nel contatto col divino. Il non credente lo cerca in se stesso, nella cultura, nella natura, anche se quasi nulla riconcilia con se stesso come l’attingere ad una salda dimensione di fede. Forse chi crede non lo afferma apertamente, ma certo ne è convinto in cuor suo, nel suo silenzio.

Ed allora, aver consentito che le monache di clausura (le vere depositarie del soffio della fede) possano mettersi in contatto con l’umanità afflitta, utilizzando i moderni mezzi di comunicazione, è da considerarsi un vero e proprio atto di lungimiranza, e di attenzione misericordiosa da parte del Papa.

Certo, i commenti gratuiti si sprecheranno, ma questa è una di quelle occasioni in cui, tenendo ferma la barra della capacità personale di valutazione, possiamo scorgere il bene nell’esatto punto in cui il bene si trova.

E magari impariamo anche a toccarlo.

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