humusÈ tutta questione di… contro effetti.

Diventare humus. L’ultima frontiera della follia umana.

È notizia di questi giorni che lo Stato federale di Washington ha proposto una legge per consentire, a tutti coloro che nella vita hanno avuto una particolare passione per la cura delle piante, di poter disporre, per via testamentaria, la propria trasformazione in humus una volta defunti. Pare che la ragione alla base di questa opzione legislativa sia la volontà di garantire una maggior tutela dell’ambiente.

In tutta franchezza, la vedo diversamente. Oggi, mi sembra, viviamo un’epoca in cui la globalizzazione è ad uno stadio relativamente spinto. Ed essa, forse, sta stimolando due fondamentali atteggiamenti mentali nell’Uomo: a) l’idea che, da un lato, non esista più l’individuo, come essere dotato di sue uniche peculiarità; b) dall’altro lato, che stia sopravvenendo la morte dell’individualità, a favore di una concezione dell’Uomo indistinta, indifferenziata, generalizzata. Stiamo passando dal concetto di “Uomo”, come specificità, a quella di uomo come “ente collettivo”, sovrapponendo la figura dell’Uomo con quella dell’Umanità.

Questo cambio di prospettiva culturale è stato lento ma infiltrante, sottotraccia ma efficacissimo e la sua risultante, a livello sia conscio e soprattutto inconscio, è che gli individui stanno andando alla ricerca dell’elemento di specificità che un uomo può presentare rispetto ad un altro. In un mondo cosmopolita, dove l’uso dell’iPhone è invalso; in cui il chicken country McDonald’s che si mangia a Mosca ha lo stesso sapore di quello che si mangia Roma ed a New York; dove la felicità si raggiunge soltanto attraverso la Mindfulness e la PNL, ebbene, in questo mondo, mi sembra sia necessario un recupero del valore individuale umano, senza escludere la dimensione culturale della sua stessa esistenza.

La storia si ripete. Oggi come accadde nel periodo immediatamente successivo alla morte di Alessandro Magno (323 a.C.), il mondo è caratterizzato da due elementi fortemente discordanti tra loro: cosmopolitismo e individualismo. Vi è, però, una sostanziale differenza tra l’uomo ellenistico e quello odierno.

Il primo arginava la globalizzazione ricercando in se stesso e nella propria anima le risorse necessarie, prima fra tutte la serenità, per affrontare l’esistenza. L’ellenico amava la ricerca, i viaggi, la novità, la conoscenza ed è in questo clima che nasce e si radica la filosofia epicurea, volta al raggiungimento della felicità per il tramite del distacco dalle cose del mondo, verso la contemplazione.

L’uomo contemporaneo cerca di sottrarsi alla massificazione con la ricerca dello shock emotivo, ponendosi sopra le righe, facendo dell’eccentricità il proprio mito e segno distintivo allo stesso tempo. Ed è in questo perenne alzare il tiro verso l’inverosimile che si pensa di conservare la propria individualità, di tutelare i propri diritti e prerogative di singoli, senza minimamente accorgersi che tutto ciò ha del parossistico dal momento che, molto spesso, sconfina nel patologico.

Qual è il senso, o meglio, il valore aggiunto di una scelta individuale che vada verso la trasformazione del proprio cadavere in humus? Nessuna, tranne il soddisfare l’idea, che si nutre da vivi, di essere così onnipotenti da raggiungere l’immortalità divenendo parte di un composto terreo, senza nessun riferimento alla trascendenza insita persino nel concetto stesso di Natura.

No, si diventa humus perché si amavano le piante in vita. Davvero, risulta difficile comprendere lo stile cognitivo con il quale si trova questa giustificazione. In effetti, in questo ragionamento non è presente alcun valore di autoconsapevolezza, nemmeno in ottica ecologica, perché la cosa ha un’inferenza vicina allo zero. Non ha un valore umano, visto che non accresce il sentimento dell’appartenenza al nostro genere. Instilla soltanto l’idea che l’arbitrio di un uomo possa spingersi sino a trasformarsi in quello che vuole, oppure nell’oggetto/soggetto della propria concupiscenza.

Si diventa humus perché siamo humus.

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