libiaÈ tutta questione di… equilibrio.

Sappiamo tutti che il mondo, rispetto a qualche decennio fa, è cambiato. D’altra parte, il cambiamento fa parte dello spirito del mondo, e non ha senso credere che i comportamenti e gli atteggiamenti mentali delle persone restino sempre gli stessi. Il dinamismo è il sale effettivo della nostra vita, e senza i mutamenti che avvengono in noi e nel mondo esterno non potremmo mai sostenere che stiamo evolvendo.

Ebbene, sulla base di questo assunto, biologicamente e antropologicamente evidente, è però necessario che con il termine cambiamento possiamo anche riferirci alla volontà di rivedere le proprie posizioni, per recuperare qualche elemento che fa parte della tradizione, del passato, e che abbiamo abbandonato. In altre parole, possiamo tornare sui nostri passi e valutare diversamente alcune decisioni prese, che si sono rivelate, con il senno di poi, affrettate oppure troppo entusiastiche. In effetti, il nuovo può essere deleterio, come non è detto che lo sia sempre. Insomma, sviluppare un atteggiamento che sia critico, prudente e attento rispetto all’idea di cambiamento è, secondo me, sano, ossia espressione di una mente matura ed equilibrata.

Queste osservazioni scaturiscono dalle notizie che tutti noi stiamo apprendendo sulla espressione penosa, nonché tragicomica, della nostra diplomazia, la quale sta dimostrando al mondo che il presunto cambiamento politico italiano è ridicolo, insensato e fasullo. Mi chiedo: come è possibile compiere errori diplomatici di questo tipo? E mi riferisco alla questione libica, al nostro ipotetico ruolo internazionale e, conseguentemente, alla figuraccia che stiamo facendo tanto in Europa quanto nel mondo.

Se questo è il nuovo, e questi sono gli atti internazionali dei nostri politici, penso che l’unica vera e significativa rivoluzione socio-culturale attuale sia il recupero, quasi totale, della tradizione.

Ho l’impressione che per andare avanti seriamente (e non solo a proclami…) sarebbe necessario farlo con gli arti inferiori, volgendo, però, il capo all’indietro.

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