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Il Sessantotto, diceva Costanzo Preve, fu il mito di fondazione di un nuovo capitalismo postmoderno, postborghese e postproletario in cui si ebbe una liberalizzazione dei costumi fatta passare per rivoluzione sociale. Una mitologia progressista che l’industria culturale ha provato a raccontare quale fenomeno di ribellismo emancipativo, ma che ha prodotto, in verità, un paradigma facilmente deducibile dalla contemporanea logica dei consumi. Una sorta di preambolo alla globalizzazione. Il massimo determinismo economicistico legato all’ideologia del soggettivismo anarchico ed alle sue infinite sfumature. Un po’ Epicuro, un po’Rosseau, un po’ Marcuse, un po’ la “spada de foco” di Carlo Verdone. Una lettura generica di un fenomeno così stratificato, tuttavia, presenta delle difficoltà evidenti. Le analisi e gli studi di Marcello Veneziani, di Diego Fusaro e dello stesso Preve hanno conquistato spazi importanti all’interno del dibattito contemporaneo italiano, consentendo una visione più nitida delle ragioni filosofiche ed antropologiche che mossero quei sentimenti. Non tanto la liberazione dall’oppressione capitalista, dunque, ma la liberazione del capitalismo dal ceto medio, dai valori tradizionali, dal godimento limitato, dal consumo mitigato. Pasolini e Lacan, d’altro canto, furono tra i primi a notare le distorsioni delle dialettiche sessantottarde. Partendo da sinistra. Il primo da un punto di vista sociale per mezzo della celebre presa di posizione in favore dei poliziotti durante Valle Giulia ( Il Pci ai giovani), il secondo con la questione psicoanalitica dell’uccisione del padre iniziata nel totalitarismo e conclusasi, appunto, con l’avvento del 68′. Il Presidente del Consiglio incaricato, Paolo Gentiloni, è il primo premier proveniente da quella storia. D’Alema, l’altro Pds inseribile in questo elenco, fu eletto consigliere comunale a Pisa già nel 1970. Uomo di partito, insomma, più che dissidente.

Dopo aver frequentato un istituto montessoriano, Gentiloni partecipò ad una prima occupazione nel 1970. Entrò quindi in contatto con Mario Capanna rimanendo, tuttavia, nel Movimento Lavoratori per il Socialismo. Una gioventù passata all’interno della sinistra extraparlamentare, dentro quel macrofenomeno culturale che ha contribuito a produrre il sistema scolastico-universitario per come oggi lo conosciamo. Solo due giorni fa ricorreva l’anniversario della legge Codignola che diede vita alla cosìddetta università di massa. Com’è accaduto alla gran parte dei giovani attori politici di quegli anni, Gentiloni ha poi costruito la sua parabola verso il moderatismo. Passò dall’ecologismo di Realacci e Chicco Testa all’essere il portavoce di Rutelli a Roma, in una successione di varii gradi di centrismo moderato. Pare che si sia distinto, inoltre, per un trasparente filoatlantismo che gli avrebbe procurato un’amicizia con John Kerry, attuale Segretario di Stato degli States.

In un tweet del 2 Agosto 2012, Gentiloni diceva:<<dobbiamo cedere sovranità a un’Europa unita e democratica.>> Un’affermazione inconsueta per un leader cresciuto tra i banchi delle occupazioni sessantottine, no? No, affatto. La vicenda politica di Paolo Gentiloni è la medesima dei tanti che parteciparono attivamente a quei moti, la storia di un equivoco ideologico finalmente svelatosi in modo simbolico nella stretta di mano tra il mondo lib-dem di Hilary Clinton e quello immaginifico dell’universo renziano. Paolo Gentiloni rappresenta una storia paradigmatica, quella del 68′ che mostra finalmente sè stesso, condensasto delle luci della narrazione politically correct. La fantasia è, quindi, finalmente al potere. Alfano Ministro degli Esteri potrebbe essersene la prima concreta emanazione. Il 68′ è tra i banchi del Governo e ci è arrivato stringendo la mano ad Hilary Clinton. Chi lo avrebbe mai detto? Pasolini e Lacan, per esempio. Buona fortuna Italia.

 

 

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