Lo confesso: provo un leggero sentimento d’invidia nei confronti degli inglesi. I loro scrittori sono sugli scaffali delle librerie di tutto il mondo. I loro classici finiscono per essere quasi inevitabilmente i nostri classici. E le notizie che riguardano i loro “grandi autori” finiscono per fare il giro del mondo (con tappa forzata anche da noi). Un esempio? Le agenzie hanno battutto questo lancio: “Una residenza storica dove ha vissuto il celebre scrittore britannico Rudyard Kipling è in vendita a oltre 1,5 milioni di sterline (1,8 milioni di euro). Si tratta della villa The Elms, situata in riva al mare nei pressi del villaggio di Rottingdean, East Sussex, Inghilterra orientale. L’autore del Libro della giungla ha abitato in affitto fra quelle mura dal 1897 al 1902 e ha scritto alcuni dei suoi capolavori come Kim e Storie proprio così. La proprietà si sviluppa su quattro piani, ha cinque camere da letto, due saloni e due bagni, oltre a una incantevole vista sul mare”. “Lo scrittore nato in India ha tratto grande ispirazione da questo luogo”, pare abbia detto un portavoce dell’agenzia immobiliare che gestisce la vendita. A parte il fatto che non credevo che le singole agenzie immobiliari potessero vantare nel proprio organigramma anche la figura del “portavoce”, comunque me lo immagino, questo signore, in giacca e cravatta, che brandisce con malcelato orgoglio la cartina della villa con le relative foto. E magari non ha letto If o L’uomo che volle essere re.

Sono così tanti i loro “numi tutelari”, che finiscono per essere presenze così familiari nella vita di tutti i giorni, che non costituiscono più un argomento da approfondire, ma semplicemente uno status da esibire.

E va bene! Ammettiamo pure che Rudyard Kipling abbia dato vita al piccolo picaro Kim affacciandosi dal patio di questa bella villa e osservando il canale della Manica mentre buttava giù idee e abbozzi del lungo viaggio del ragazzino irlandese da Bombay a Benares, però era pur sempre soltanto un inquilino. Non era la casa di famiglia e, per giunta, stava appunto scrivendo la storia di un nomade, di un piccolo picaro vivace e intelligente. Come nomade, d’altronde, era stato lo stesso Kipling, viaggiando gran parte della sua vita. Anche quando era “ancorato” nell’East Sussex, evitava con cura la più fredda delle stagioni svernando in Africa. E durante questo periodo scrisse oltre a Kim (nelle nostre librerie si possono trovare, tra le altre, le edizioni Adelphi, Einaudi, Newton Compton, Bur e Garzanti) anche le Storie proprio così (Adelphi) nate dalle suggestioni africane. Un libro di favole capace di agganciare con incredibile sapienza l’attenzione dei piccoli lettori (o meglio ascoltatori, com’era nelle intenzioni dell’autore che questi racconti scrisse principalmente per sua figlia). Fosse stata quella casa oggetto di un bel romanzo, o almeno fonte di ispirazione, potrei capire la speculazione che oggi ne fanno gli agenti immobiliari. Ma non è questo il caso.

Però intanto tutta la vecchia Inghilterra è tappezzata di targhe che ricordano le dimore di artisti e soprattutto di scrittori. Se ne contano a migliaia lungo tutto il regno britannico. Segno che queste figure “familiari” finiscono per essere numi tutelari non solo dei residenti ma anche dei turisti che passano. Molti dei quali, magari, faranno una capatina in libreria dopo aver visto la casa di Shakespeare o quella londinese di Dickens. Sarebbe bello che anche da noi si iniziasse una promozione della cultura letteraria italiana che esaltasse il nevralgico rapporto tra casa e scrittura. Visto, poi, che gran parte dei nostri scrittori non sono stati nomadi (o picari) come l’aedo dell’imperialismo britannico che grazie alle sue doti narrative e al suo opportunismo politico si beccò anche il premio Nobel.

 

 

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