Lo sceneggiatore di Downton Abbey, Julian Fellows, ha rivelato nel corso di un’intervista al Wall Street Journal di pochi giorni fa che la popolare serie tv che racconta vizi e virtù dell’aristocrazia inglese degli anni Venti sta per avvicinarsi alla sua naturale conclusione. in America la Pbs sta mandando in onda la quarta serie (oltre dieci milioni di telespettatori) mentre da noi siamo ancora alla terza serie. Il successo è enorme da entrambi i lati dell’Atlantico, però la quinta serie – ora in lavorazione- dovrebbe essere l’ultima. Con buona pace dei tanti ammiratori di questo sceneggiato in costume.
Di esso, tra le altre cose, ammiriamo il formalismo e la rigida etichetta che si respira dentro una dimora nobiliare, con i domestici impegnati a fornire prestazioni di alta qualità e al contempo manifestazioni di devota partecipazione al destino dei loro datori di lavoro.
Osservandolo viene in mente uno dei principali personaggi della letteratura inglese: Reginald Jeeves, nato dalla penna di P. G. Wodehouse. Un personaggio divenuto nel corso del Novecento così famoso da dare il suo nome addirittura a un motore di ricerca britannico (ora cambiato nel più sintetico ask.com), proprio scimmiottando una delle battute più ricorrenti del suo datore di lavoro: “Chiediamolo a Jeeves”. Un valletto (questa la sua qualifica) praticamente perfetto: maestro di eleganza, tutore dell’ordine e dell’etichetta, infallibile enciclopedia ambulante che ama le citazioni in latino e i buoni vini.
La presenza di Jeeves a Downton Abbey non stonerebbe affatto, se non fosse nato con il semplice compito di ridicolizzare proprio la nobiltà inglese, di cui il suo datore di lavoro, Bertie Wooster, rappresenta un paradigma scomodo. E tutto questo all’interno di romanzi che sono il perfetto esempio della letteratura umoristica.
Downton Abbey non fa ridere (talvolta è lecito sorridere di alcuni vizi e di altrettante virtù). Il tutto è indirizzato verso un più tradizionale racconto di amori e tragedie familiari. D’altronde il suo autore si era già mostrato implacabile sceneggiatore dei rapporti di forza che governano il mondo dell’aristocrazia e dei suoi dipendenti nel celebre film di Robert Altman Gosford Park.  Fellows è lo stesso nome, poi, che si legge sulla copertina di un romanzo intitolato Snob, che ha avuto molto successo anche da noi qualche anno fa (lo pubblica Neri Pozza). Il rito delle corse di Ascot diventa qui cornice di avventure galanti tra arrampicatori sociali, parvenu e nobili decaduti.
Per chi volesse, però, rivivere le atmosfere di Gosford Park in un romanzo dove i dialoghi serrati forniscono un affresco  cinico e dissacrante della famiglia aristocratica  inglese di fine Ottocento  consiglierei senz’altro la lettura di Servo e serva di Ivy Compton-Burnett (in italiano esiste una vecchia edizione Einaudi). 
Qui troviamo un collega di Jeeves, Bullivant, alle prese con padroni ottusi e rassegnati come una mandria di buoi. Rasserenati solo dal perpetuarsi del loro status quo. Posizione che finisce per riflettersi anche sui domestici. Ecco in proposito le illuminanti parole di Bullivant mentre cerca di addomesticare il suo riottoso assistente: “Non possiamo scegliere il nostro livello sociale. Se lo potessimo nuocerebbe all’equilibrio delle cose”.
Come in tutti i romanzi della scrittrice inglese, qui succede poco. Almeno in superficie. E’ sotto l’etichetta dei rapporti molto formali tra famigliari e tra questi e i domestici che serpeggiano sentimenti devastanti e paure soffocanti.
L’abilità della Compton-Burnett è di sintetizzare tutto questo (compreso la sua tiepida critica verso l’ipocrisia e il perbenismo vittoriano) in dialoghi di rara eleganza e di ancor più rara efficacia.
Qui parliamo di lei principalmente per il rapporto che lega il suo romanzo Servo e serva  al tema dell’aristocrazia. Tuttavia la sua grandezza risiede nell’aver vestito di abiti moderni i temi universali delle tragedie greche (di cui era una valida studiosa). I guasti relazionali e psicologici prodotti dal dispotismo familiare nella borghesia edoardiana vengono raccontati con un piglio sicuro e con voce originale (Un Dio e i suoi doni, Madre e figlio, Il presente e il passato solo per citare qualche titolo). Piccoli capolavori che fanno di lei una delle più grandi autrici inglesi di sempre. 

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