Il fenomeno si ripete. Puntale. Ancor più inflessibile nella sua ripetitività che lo scioglimento del sangue di San Gennaro. Stiamo parlando dell’impennata della vendita dei libri del cosiddetto “canone italiano”. Ogni estate, appena la scuola chiude i battenti, le librerie si popolano di ragazzi svogliati e genitori ansiosi che chiedono ai commessi sempre i soliti titoli. “Ce l’avete Se questo è un uomo di Primo Levi? E la Trilogia degli antenati di Calvino?” A volte arrivano a chiedere anche Il fu Mattia Pascal  di Pirandello o La coscienza di Zeno di Italo Svevo. E le classifiche pubblicate settimanalmente sui quotidiani non fanno che attestare questa improvvisa popolarità dei nostri classici novecenteschi. Merito loro, ovviamente. Libri che hanno segnato la storia della nostra letteratura contemporanea. Ma soprattutto merito di una Scuola che ha paura di cambiare e che si affida a formule rigide per aiutare i nostri ragazzi ad allenarsi alla lettura anche durante i mesi estivi.

Da più parti, però, si lamenta che questa “tradizione” non faccia bene prima di tutto ai ragazzi e in subordine anche alla stessa Scuola. Paolo Di Paolo sulla Stampa e poi Paolo Di Stefano sul Corriere hanno lanciato la proposta di svecchiare il canone magari con aggiunta di titoli un po’ meno vecchiotti e un po’ meno scontati.

Paolo Di Paolo, ad esempio, fa il caso di Alberto Moravia. Il suo Agostino (che gode di una nuovissima traduzione in lingua inglese) è entrato nella lista dei consigli per l’estate dell’autorevole Publishers Weekly. Eppure l’autore degli Indifferenti stenta a farsi strada nelle classifiche dei libri più venduti da noi. I suoi romanzi vendono in media duemila copie l’anno contro i ventimila di Calvino. Di Stefano, poi, propone alcuni nomi che ancora non fanno parte del “canone scolastico” ma che da tempo sono diventati dei classici contemporanei: Anna Maria Ortese, Luciano Bianciardi, Mario Soldati e Goffredo Parise. In effetti sono tutti autori che hanno raccontato l’Italia e il loro presente con maestria e con stile. Di sicuro sono capaci di catturare l’attenzione dei giovani anche se, in effetti, il loro linguaggio possa risultare  per certi aspetti “invecchiato”.

Ho affrontato già in passato il tema sul confronto tra classici e contemporanei (ad esempio nel post Scende in campo Swift per difendere la Mazzucco). E’ assodato che laddove ci sia penuria di tempo e di mezzi è meglio affidarsi all’usato sicuro dei classici. “Però  – come scrivevo a proposito della contestata lettura della Mazzucco in un liceo romano – a volte i classici si raggiungono passando dalla stretta soglia della contemporaneità. Per invogliare qualcuno a divenire un lettore  a volte è necessario lusingarlo con temi e ragioni che popolano il suo orizzonte d’attesa”.

Per rimescolare le carte si potrebbero affidare ai ragazzi libri vecchi soltanto di qualche decennio come i romanzi di Daniele Del Giudice, di Marco Lodoli, Giuseppe Pontiggia, Giampaolo Rugarli o Luca Desiato.  Nomi che mi sono saltati subito in testa. Ma potrebbero essercene tanti altri altrettanto validi. L’editoria dovrebbe fare uno sforzo maggiore ed essere più fantasiosa nella programmazione delle pubblicazioni e la Scuola dovrebbe avere meno paura di stimolare la curiosità dei giovani.

E comunque il suggerimento del Publisher Weekly è molto valido: Agostino d’altronde è in tutte le nostre librerie nell’edizione Bompiani

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