Ci sarebbe bisogno di un nuovo Achille Campanile. Molto bisogno, a dire il vero. La letteratura vive una stagione non proprio di fiacca quanto di crisi esistenziale. Tanto che il modello vincente – in questo momento – pare essere l’autofiction (vedi solo per fare un esempio su tutti l’ultimo vincitore del Premio Strega Francesco Piccolo). In un momento simile bisognerebbe tornare almeno a sorridere (se non a ridere di gusto) attraverso le parole. Quindi avremmo tutti bisogno dell’aiuto di Ennio Flaiano, del già citato Campanile oppure di penne professionali ma non tanto ambiziose (o meglio presuntuose) come Guido da Verona.

Insomma avremmo bisogno di un nuovo Wodehouse “in salsa italiana”.  Il condizionale in questo caso non è d’obbligo, ma superfluo. Infatti un novello Wodehouse ce l’abbiamo. Si chiama Francesco di nome e Muzzopappa di cognome. E’ giovane. E’ meridionale, ma trapiantato a Milano. E fa il lavoro più trandy del momento: il pubblicitario. Ma soprattutto è un bravo scrittore. Che sa confezionare con sapienza, intelligenza e buon gusto delle simpatiche commedie letterarie. Dopo il successo ottenuto con Una posizione scomoda (Fazi, 2012) torna ora in libreria con Affari di famiglia (stesso editore).

Una commedia leggera ed elegante che nulla ha da invidiare alla sterminata produzione del già citato Wodehouse. Dopo le disavventure di uno sceneggiatore di film porno (Una passione scomoda), ora Muzzopappa ci fa conoscere la storia di una contessa torinese, del suo figlio inetto, di una zitella diabolica, di una arrampicatrice sociale, di una Torino molto vicina alle atmosfere di Fruttero e Lucentini e di una crisi economica che non risparmia nessuno e che mette a dura prova anche l’etichetta e il bon ton.

Va da sé che il libro è assolutamente consigliabile. Ma non è alla recensione del libro che dedichiamo questo post, bensì a porre l’attenzione sull’appendice che Muzzopappa sente la necessità di aggiungere al testo. In tre paginette l’autore passa in rassegna una sorta di esercito del buonumore: penne raffinate e famose che hanno aiutato il Nostro a formarsi un gusto e a sviluppare il suo personalissimo estro. Muzzopappa è anche un cultore raffinato della letteratura inglese e offre al lettore del suo secondo romanzo una sorta di mappa di riferimento. I nomi che contano (con relativi titoli) ci sono tutti (o quasi). Da Waugh a Marcello Marchesi, da Laurence Sterne a Samuel Beckett. Passando ovviamente per i già citati Wodehouse, Campanile e Flaiano. La lettura di queste tre paginette è illuminante e frustrante a un tempo. Wodehouse non avrebbe avuto bisogno di porre in appendice  ai suoi straordinari (ma leggerissimi) romanzi un excursus storico-letterario che giustificasse la sua scelta del genere umoristico. Stesso discorso per Chesterton e Waugh.  Da noi, invece, il genere in questione genera più di qualche sospetto nei media, nei critici e nei lettori di professione. Un gran peccato. Soprattutto per loro. Non sanno cosa si stanno perdendo.

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