Leggendo, e con interesse, il bel ritratto che sabato 8 novembre sul Foglio Michele Masneri ha dedicato alla figura del freelance, in un settore – quello dell’informazione – che nel primo scorcio del terzo millennio vive un ridimensionamento davvero radicale, mi è tornata in mente una figura del tutto particolare di giornalista. Sto parlando di Georges Duroy, protagonista del romanzo Bel Ami di Guy de Maupassant (segnalo tra le altre le edizioni economiche di Feltrinelli, con la traduzione di Cinzia Bigliosi, e quella della Bur curata da Orsola Nemi).

Se c’è un libro che un aspirante giornalista non dovrebbe mai leggere, soprattutto se ancor giovane e facilmente influenzabile data la sua mancanza di esperienza della vita, è proprio il bel romanzo dello scrittore francese. Maupassant, infatti, sceglie proprio un giovane giornalista come paradigma dell’arrampicatore sociale. Georges Duroy non è nemmeno preso dal sacro fuoco della professione. Ci arriva praticamente per caso e si destreggia senza passione e senza nemmeno troppo impegno. Si fa anche scrivere gli articoli dall’amante e soprattutto costruisce la sua carriera su mezzucci tutt’altro che dignitosi.  Alla fine della prima parte del libro si arriva alla (erronea) conclusione che fare il giornalista sia un lavoro praticamente alla portata di tutti.

Dal contesto offerto dalla mano abile di Maupassant ne viene poi  fuori la descrizione di una Parigi che in molte cose assomiglia alla Roma di oggi, dove il giornalismo, gli affari e la politica si intrecciano pericolosamente e corrivamente. Altro che watchdogs! Questi pennivendoli sembrano fare dell’insider trading una delle “abitudini” più naturali del mondo. E i condizionamenti politica-informazione sono tanti e tali da cadere presto – e per fortuna del lettore – nel grottesco. Sentite come l’autore francese descrive, ad esempio, un astro nascente della politica nella Parigi di fine secolo: “Era uno di quegli uomini politici a molte facce, senza convinzioni, senza grandi mezzi, senza audacia e senza conoscenze serie. Avvocato di provincia, bell’uomo, serbava un equilibrio da volpone fra tutti i partiti estremi, specie di gesuita repubblicano e di fungo liberale di dubbio genere, come ne nascono a centinaia sul letamaio popolare del suffragio universale”. Non ditemi che non ricorda perfettamente il prototipo del politico italiota della Seconda Repubblica!

Le pagine migliori, però, sono quelle che Maupassant dedica alla carriera di libertino di Duroy. Con descrizioni del mondo femminile che ancor oggi farebbero arrossire molte lettrici. Una carriera, questa, che corre parallela e spesso si intreccia con quella del giornalista. Il soprannome, Bel Ami, è il modo simpatico e intimo con cui lo chiamano proprio le donne che popolano la sua vita mondana.

Curioso poi che sia proprio il suo matrimonio a chiudere (apparentemente) entrambe le carriere. Sia quella di seduttore incallito che di giornalista in ascesa. Dopo la cerimonia, infatti, si aprirà per lui l’agio di una posizione sociale invidiabile e una carriera  politica che Maupassant evita di raccontare accennandola solo come naturale esito futuro della vita di Duroy.

Nel corso della cerimonia i vecchi cronisti che Georges ha avuto come inaciditi e smaliziati (ma tutto sommato onesti) maestri di giornalismo commentano i suoi trionfi e uno sussurra “L’avvenire è dei furbi” mentre l’altro ancor più cinicamente osserva “E’ uno che sa sempre come comportarsi”.

Ripensandoci forse è meglio mettere Bel Ami tra le letture obbligate degli aspiranti giornalisti, magari imparano cos’è che non dovrebbero mai aspirare ad essere (e non come professionisti, ma proprio come uomini).

 

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