Ci sono letture che si ripetono, magari per caso a distanza di anni e con profitto. E questo perché ci sono libri, storie, romanzi, che offrono sempre una valido sostegno alla nostra comprensione del presente. Capaci, insomma, di illuminare l’oggi anche se sono stati scritti e pubblicati in epoche lontane. Ed è così che, riprendendo in mano L’ignoranza di Milan Kundera, mi sono accorto che questo libro, pur prendendo a spunto l’ormai celeberrima caduta della cortina di ferro per creare una storia di sogni infranti, confessioni e riflessioni, è ancora molto attuale.

Il romanzo è uscito 2001 (Adelphi). E’ il terzo racconto che l’autore ceco scrive direttamente in francese, la sua “seconda” lingua letteraria. Viene dopo La lentezza (1995) e L’identità (1997). E come i precedenti rielabora alcuni temi cari all’autore, reso famoso anche da noi dal romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere. Tra questi la nostalgia (nostos), la memoria, la libertà e il complesso rapporto con le radici.

Un uomo e una donna si ritrovano dopo vent’anni passati all’estero. L’incontro avviene mentre i due sono di passaggio a Praga, città che avevano abbandonato proprio durante la famosa primavera del ’68. Si erano conosciuti proprio alla vigilia della fuga. In quell’occasione avevano flirtato, si erano piaciuti e i loro sguardi (e i loro più nascosti pensieri) avevano giurato e spergiurato di non interrompere mai più quel “dialogo”. E invece ci ha pensato la Storia a fermarlo bruscamente. Dopo vent’anni (da lei trascorsi a Parigi, e da lui in Danimarca) sembra chiudersi finalmente il cerchio di quella magica notte prima dell’espatrio. Ma ovviamente non è così. La memoria di una avvenimento è solo nostra, ci ammonisce l’autore. Se altri erano con noi, questi hanno comunque metabolizzato e rielaborato differenti dettagli e magari (come è il caso di Josef) si sono dimenticati pure della nostra presenza al loro fianco. Quindi lei, Irena, si emoziona in maniera indicibile, almeno fino al momento in cui si rende conto che gli occhi di lui cercano di dissimulare un vago spiazzamento. Josef non l’ha riconosciuta e la sua gentilezza era solo una istintiva attitudine al flirt.

Irena e Josef, i due protagonisti di questa mancata storia d’amore, sono inoltre degli esuli.  E, come tutti gli esuli o emigranti, essi reinventano la memoria a partire dalla nostalgia. Che altro non sarebbe, per Kundera, che il ritorno della sofferenza (dalle parole greche nostos e algos), ovvero “la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare”. La nostalgia però agisce come la memoria selettiva. Agisce per sostituzioni. Riempie dei vuoti provocati dalla tempo. Insomma, come spiega il titolo, la nostalgia si nutre di ignoranza. Illuminanti, a questo proposito, le pagine dedicate a Ulisse. Ed è questa la grande lezione che il romanzo non smette, a distanza di tempo, di offrire.

Ciò che, però, di questo agile romanzo oggi colpisce di più è proprio la patina di un tempo lontano, quando due persone si salutavano pensando di ritrovarsi l’indomani e poi, invece, si incontravano per caso solo vent’anni dopo. Quel vuoto oggi sarebbe incomprensibile. Nell’epoca della pervasiva connessione digitale, nell’epoca della dittatura dell’immagine e del selfie, forse, un romanzo altrettanto romantico e malinconico sarebbe impossibile. Difficile perdersi totalmente di vista. Impossibile fuggire. Ragione in più per tenere sugli scaffali della libreria di casa questo prezioso romanzo. Per ricordarci come eravamo, quando potevamo essere romantici e malinconici.

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