Ci sono, credo, due tipi di lettori. Quelli rilassati e in pace con se stessi, sempre curiosi e aperti a ogni tipo di seduzione intellettuale (cioè letteraria). E poi ci sono quelli insicuri. Ansiosi. Che sempre sentono il peso della massima socratica “so di non sapere”. Il tempo sfugge loro di mano e temono di non fare in tempo a leggere tutti i titoli che “bisogna” aver letto. E più colmano le lacune più queste si allargano come voragini. Questi due tipi di lettori, quindi, agiscono in modo affatto differente alla tipica situazione in cui un amico propone loro in lettura un testo che tanto lo ha appassionato. Il primo tipo di lettore prende in mano il volume con un ampio sorriso. Ringrazia e poi, tornato a casa, inizia a leggere. Il secondo tipo invece è visibilmente infastidito. Ha altri programmi, altri titoli da leggere, altre cose da vagliare, non ha tempo per soddisfare l’atto di generosità dell’amico. Prende, però, il volume in mano e ringrazia con un sorriso piuttosto forzato. Non vuole essere maleducato. Già sa, però, che non ci sono molte probabilità che il libro venga poi effettivamente letto.

Il primo tipo di lettore, ovviamente non coltiva molti pregiudizi. Aperto com’è a ogni esperienza non ha tempo per i pregiudizi. Aspetta sempre  di leggere un libro per giudicarlo. Il secondo tipo, invece, non può fare a meno dei pregiudizi. Il tempo è poco e la “biblioteca” potenziale immensa. Quindi deve affidarsi alle categorie della critica, alle recensioni, ai testimonial e sponsor di titoli e autori per orientarsi nel mare magnum della letteratura.

La mia ansia di colmare l’incolmabile mi fa appartenere, purtroppo, alla seconda categoria. Quindi è con un leggero disagio che ho ricevuto dalle mani di un amico il volume Stupore e tremori di Amélie Nothomb (Voland). “Vedrai ti piacerà” mi ha detto.  Si tratta di un romanzo breve di appena 120 pagine (mirabilmente tradotte da Biancamaria Bruno), l’impegno di mezza giornata al massimo. Eppure le probabilità di leggerlo sarebbero state comunque poche.  Il caso ha voluto, invece, che un giorno lo prendessi in mano e iniziassi a leggerlo. E il mondo si è in un attimo ribaltato. I miei pregiudizi (anche sull’autrice) sono stati polverizzati. Non solo si tratta di un libro che vale certamente la lettura, bensì di un testo che può essere ripreso anche a distanza di anni (la sua prima pubblicazione risale al 2000). Non solo ci offre un romanzo avvincente ma un affresco del modo di vivere giapponese originale e molto efficace. Meglio di qualsiasi trattato, questo romanzo ci spiega la filosofia di vita nipponica con una profondità di sguardo che solo un grande scrittore può avere.

Amélie ottiene un posto di lavoro. In una grande azienda di import/export. Lei è una ragazza europea. Addirittura belga. E in quell’ambiente risulta più visibile di un albino in una tribù africana. Invece di fare carriera, la povera Amélie percorre a ritroso tutte le possibili tappe che la tengono lontana dall’ultimo posto gerarchico dell’azienda: addetta alla pulizia delle toilette. Eppure avrebbe i numeri per fare ben altro. Tanta professionalità, cultura e buone intenzioni servono a poco se non si riesce a penetrare il segreto del modo di pensare dei manager giapponesi, così ancorati al rispetto delle regole e al valore primario dell’azienda, da annullare ambizioni e personali necessità. hutton

 

Amélie non può che osservare con sguardo straniato quel mondo così lontano dal suo. Lei donna, per giunta emancipata ed europea, in un mondo dominato da uomini, tradizionalisti, stakanovisti. Il suo essere differente, quella sua condizione quasi di paria, mi ha riportato alla mente un film di Charles Walters: Cammina non correre (1966). Una commedia ambientata durante le olimpiadi di Tokio del 1964 con Cary Grant (la sua ultima interpretazione in un film) e Jim Hutton. Quest’ultimo era un giovane architetto che per studiare le architetture nipponiche si adatta a partecipare alle Olimpiadi come marciatore. I due spilungoni (Grant e Hutton) svettano nella folla giapponese. Impossibile non notarli. Impossibile non considerarli due alieni in un mondo molto distante dal loro. Anche in quel film tante gag e battute per sottolineare l’esotismo (ai nostri occhi) della cultura giapponese.

Pure Stupore e tremori spinge al sorriso, se non alla risata aperta in alcune scene. Il celeberrimo senso dell’onore dei manager giapponesi viene ridicolizzato con elegante sarcasmo. Senza supponenza, però. Semmai con l’ingenuità di chi proprio non ce la fa a capire quegli articolati percorsi mentali così distanti dal suo modo schietto e spontaneo di vivere. La Nothomb infila poi alcune perle di ironia che davvero sono da antologia. Come quella che si trova a pagina 92. Quando i modesti impiegati scoprono la punizione inflitta alla giovane collega belga (declassata a inserviente delle toilette del 43° piano), decidono di boicottare i servizi al piano. “In Giappone questo si chiama sabotaggio: uno dei crimini nipponici più gravi, tanto odioso che si usa la parola francese, perché bisogna essere stranieri per concepire una bassezza simile”.

Forse in futuro sarò meno scettico di fronte alle proposte di lettura degli amici.

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