Il grande trombettista Joss Moody muore sulla soglia dei settant’anni. Dopo una lunga carriera sulla ribalta del jazz inglese. Star praticamente indiscussa negli anni Sessanta e Settanta, Joss lascia un grande vuoto nella musica. Un grande vuoto ovviamente anche nella vita di sua moglie Millie e di suo figlio Colman. Da qui, dalla morte del protagonista, inizia il romanzo di Jackie Kay, Trumpet, pubblicato una quindicina d’anni fa da La Tartaruga (traduzione di Sandro Melani). Il libro mi è capitato fra le mani in maniera assai fortuita. A lettura conclusa, però, posso dire che si è trattato di un autentico colpo di fortuna. E posso quindi catalogare il libro nella sezione “capolavori”. Un libro quindi che può tranquillamente far parte della virtuosa schiera dei “classici contemporanei”. Che oltretutto dibatte un tema quanto mai attuale. Già, perché solo quando Joss Moody muore viene a galla una verità a dir poco scomoda. E sicuramente sconvolgente, se non altro per gli amici e per il figlio. Infatti, durante la preparazione del corpo da parte dell’impresario delle pompe funebri viene fuori che Joss Moody era in verità una donna.

Jackie Kay ha insomma confezionato un romanzo che è a un tempo una struggente storia d’amore (quella tra Joss e la moglie Millie) e un’indagine accurata senza preconcetti e senza pregiudizi su un modo differente di vivere la propria sessualità.

Joshepine Moore, questo il vero nome di Joss Moody, figlia di un padre africano e madre scozzese, sceglie di vivere la sua esistenza nei panni di uomo. Perché ritiene che sia il miglior modo per sfondare nel mondo del jazz. E ci riesce. Ci riesce tanto bene che trova pure una moglie (Millicent). La loro storia d’amore è tanto intensa che la donna accetta di coprire il segreto del “marito”. I due riescono anche ad adottare un bambino (anch’egli nero, Colman). E tutto sembra andar bene. E tutto va bene. Se non fosse che alla sua morte il segreto viene violato.

La prudenza e l’onestà di Jackie Kay si esplica soprattutto nello scegliere di far parlare tutti i personaggi del romanzo. Ogni capitolo ha una “voce”. E così ognuno ha la possibilità di dire la propria, liberamente. E il romanzo diventa un insieme di punti di vista. Nessuno prevalente sull’altro (anche se su tutti domina il sentimento d’amore della vedova). C’è ovviamente il figlio Colman che alla fine giurerà amore eterno per il “padre” non prima, però, di aver vomitato tutto il suo odio contro le coppie miste e quelle omosessuali, contro le bugie, contro l’anticonformismo. Tra i tanti altri qui segnaliamo – per brevità – la giornalista Sophie Stones che indaga perché interessata a confezionare un instant book su Moody.  È il personaggio ovviamente più odioso, vista la sua morbosa curiosità. Però anche lei rivela dettagli che agli altri sono sfuggiti (perché, si chiede, Joss Moody in piena swinging London decide di vestire i panni di un uomo con la scusa di suonare la tromba? Sarebbe stato poi così assurdo vedere una donna allora suonare la tromba? Non è che in realtà ci provava un ben dissimulato gusto nel travestirsi?)

Questo romanzo a più voci, che mi ricorda un altro imperdibile libro (Biliardo alle nove e mezzo di Heinrich Böll), sembra fatto apposta per questi tempi dove si dibatte di adozioni per coppie omosessuali, di unioni civili e di nuovi diritti. Eppure la Kay lo ha licenziato una ventina d’anni fa. Come succede sempre quando si tratta di letteratura autentica, il libro offre suggestioni e indicazioni forti, facendo luce sulle zone d’ombra della natura umana. Senza però condizionare il lettore con “lezioncine” ideologiche.  La cosa più importante è raccontare il destino, dedicare un appassionato affresco a un piccolo angolo di mondo, di umanità. E Jackie Kay ci riesce bene. Tanto che alla fine non si deve nemmeno prendere posizione. Che poi la cosa più sensibile che si possa fare è sempre ascoltare la storia di un essere umano senza giudicarla.

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