Quando uscì la commedia Quattro matrimoni e un funerale di Mike Newell in tanti trovarono nell’episodio dell’orazione funebre il più alto e romantico momento del film. A declamare i versi di una celebre poesia di Wynstan Auden un giovane omosessuale (l’attore John Hannah) che ricordava con struggente commozione il compagno appena scomparso (Simon Callow). Chissà quanto è stata involontaria la scelta di suggerire come amore assoluto quello omosessuale, mentre le storie (a lieto fine) degli altri personaggi della storia venivano liquidate in pochi fotogrammi alla fine della pellicola con riferimenti piuttosto prosaici. Quella scena mi viene in mente ora che chiudo Un uomo solo di Christopher Isherwood (nella rinnovata edizione Adelphi con la traduzione di  Dario Villa). L’associazione parrebbe delle più dozzinali. In fondo Isherwood e Auden avevano tante cose in comune. A partire da un profondo legame di amicizia. Entrambi inglesi, entrambi scrittori raffinati, entrambi omosessuali. Entrambi, soprattutto, decisi a vivere la propria identità senza condizionamenti e senza nascondersi dietro ipocrite finzioni.

In verità Un uomo solo, storia di una giornata nella vita di un professore inglese trapiantato in California e da poco rimasto solo per la morte del compagno, mi ricorda quella poesia di Auden (Funeral blues, molto amata peraltro dai cineasti visto che è stata usata anche in altri film di successo come L’attimo fuggente di Peter Weir e La neve e la tigre di Roberto Benigni) perché è un tributo altrettanto alto e sublime all’amore. In maniera certo più disincantata e sottile. Quella era una poesia degli anni Trenta, questo un romanzo scritto nei primi anni Sessanta (uscì nel 1964). Eppure il parallelo mi sembra tutt’altro che astratto. George, questo il nome del protagonista, ripensa con struggente malinconia al suo compagno, morto lontano da lui. Morto, nel letto dove era cresciuto. Era infatti tornato in famiglia per combattere un mare incurabile. D’altronde le unioni gay non erano accettate nell’America dei primi anni Sessanta. O almeno non lo erano come oggi. Il professore inglese, ormai attempato, è costretto a vivere il suo lutto a distanza dagli altri membri della famiglia. E nella sua solitudine tutto deve riformularsi. Tutto deve essere ridefinito. Dall’aria che respiriamo fino al senso ultimo del nostro vivere.  E la giornata di questo intellettuale déraciné deve diventare il prologo di una nuova vita. O quanto meno la celebrazione di una ritrovata consapevolezza.

Sempre in bilico tra distacco e commozione (come ha scritto Mario Fortunato), il romanzo diventa un interessante testamento intellettuale di un autore che è partito dal proprio vissuto per estrapolare una lezione universale. E se le pagine più belle sono quelle del ricordo di un amore ormai concluso, quelle più sapide restano le pagine in cui l’intellettuale britannico offre un ritratto della società americana degli anni del Boom. D’altronde l’alter ego dell’autore, ovvero il protagonista George, viene egli stesso omaggiato di un ritratto impareggiabile. Quindi un autoritratto esaltante per la sua semplice esattezza: “George, grazie alla sua anzianità, alla licenza di recitare l’eccentricità britannica e, come ultima risorsa, alla sua piccola rendita personale, può permettersi di dire quasi tutto quello che gli pare”. Ed è proprio il libero pensatore, disincantato, sessualmente risolto e appagato, che arriva a schernire con acume e irriverenza le  bigotte dottrine dei liberal  (che forse noi definiremmo radical chic). Le minoranze – a esempio – non sono da santificare per partito preso. Anzi. “Una minoranza – spiega il professore inglese che oggi potrebbe servire come elegante spin doctor al nostro Salvini – si considera tale solo quando costituisce  una minaccia, vera o presunta, per la maggioranza”. Insomma le minoranze vanno sempre guardate con sospetto senza ovviamente detestarle o schernirle con pregiudizio. Senza però farne delle vittime innocenti a priori. “Pensate che l’essere amati incattivisca? – chiede ai suoi studenti di letteratura inglese il professor George – Quindi perché essere detestati dovrebbe rabbonire? Quando vi perseguitano odiate ciò che vi sta capitando, odiate chi lo fa capitare; vivete in un mondo di odio”. E questo nell’elegante e raffinato romanzo di un amore omosessuale scritto da un emancipato scrittore liberal nella California che stava incubando la rivoluzione culturale dei figli dei fiori, non certo in un opuscolo del Ku Klux Klan.

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