Chiudendo l’ultima pagina di La condizione umana di André Malraux mi torna alla mente una di quelle pubblicità di quegli integratori alimentari “multivitaminici” basata sul principio (tipicamente commerciale) del “prendi cento e paghi uno” per la compresenza in una piccola pastiglia di tanti elementi dal sicuro effetto benefico. Ecco: il libro del grande autore francese osserva lo stesso principio. Paghi uno e prendi almeno tre, se non quattro, capolavori. Quindi un libro utile (è il mio pallino, i lettori se ne saranno accorti) da mettere nelle mani di un ragazzo di oggi.  Intanto è utile per entrare in uno dei momenti più importanti della storia della Cina moderna: quello che vede opposti i nazionalisti di Chiang Kai-shek  ai rivoluzionari comunisti. Siamo a Shanghai nel 1927. E la storia dei protagonisti si consuma in appena cinque giorni. Il tutto viene raccontato (e qui sta il secondo libro, il romanzo d’azione di impianto tradizionale) con uno montaggio coinvolgente. Si parte dall’omicidio di un trafficante d’armi per finire con la fuga in Giappone dei superstiti del tentativo di sollevare la città in favore delle armate rivoluzionarie. Per chi ha passione di letture piene di azione, di complotti, di organizzazione di attentati e di strategie militari e di guerriglia urbana, questo libro fa al caso. Ma il libro non si limita a descrivere in modo accattivante quei giorni (che tra l’altro l’autore ha vissuto di persona). Ma aiuta il lettore a capire la tensione che c’era dietro quella sollevazione di popolo e quanti erano gli attori in campo. Come ex colonia la Cina faceva gola dal punto di vista commerciale non soltanto alla Francia, al Regno Unito e ad altri paesi occidentali. Faceva gola anche alla Russia impegnata a esportare la sua visione totalitaria del comunismo. Insomma gli interessi internazionali erano comunque compresenti. Non si trattava soltanto di emancipare i contadini e gli operai, ma anche di destreggiarsi tra interessi esterni confliggenti. E quindi era importante stabilire innanzitutto quale orientamento dare alla rivoluzione.  Bisognava capire se fosse meglio lasciarsi alle spalle i pur magri traguardi raggiunti da operai e contadini sulla strada dell’emancipazione economica, schierandosi con le truppe di Chiang Kai-shek, o respingere di petto l’ondata nazionalista con fondato rischio di far fallire anche il riscatto sociale delle classi povere. Un dubbio politico che si trasforma presto, nelle pagine del romanzo, in rovello interiore: il valoroso attivista non trova alternative al delitto e finisce per perdere da terrorista, inutilmente, la vita; l’idealista che ha combattuto nel ’17 a fianco dei bolscevichi si lascia uccidere dai nazionalisti, dopo aver donato la sua dose di salvifico cianuro ai compagni di prigionia, l’intellettuale (Gisors), professore universitario e marxista convinto, che annega la sua sconfitta ideologica e il suo dolore per la morte del figlio tra le braccia dell’oppio. Malraux da straordinario scrittore riesce a dar vita a personaggi che in poche righe diventano paradigmatici. E la cui testimonianza non vale soltanto per quella rivoluzione ma è ancor oggi valida. Le pagine dove si descrive la condizione di prigionia di Katow (il rivoluzionario “russo”), il suo assistere inane alle torture mortali dei compagni di prigionia, il suo tentativo febbrile di recuperare la pastiglia di cianuro da regalare a un compagno, sono straordinarie. Anche per il loro valore simbolico: regalare la morte come ultimo dono per una vita che si è fatta più difficile di qualsiasi incubo possibile. Altrettanto incisive le pagine dove si dà conto dei pensieri che affollano la mente dell’attentatore suicida (l’attivista che vuole gettarsi con le bombe in mano sull’auto dove dovrebbe esserci Chiang Kai-shek): un disperato che trae la forza per l’azione suicida dalla convinzione che il modo di vita dei sui simili (operai e proletari in genere) è così umiliato da non invidiar nulla nemmeno alla morte. Di converso c’è anche Hemmerlich, il proletario occidentale che si convince all’azione rivoluzionaria quando vede la sua famiglia massacrata dai nazionalisti.

Malraux è stato associato fin troppo facilmente all’esistenzialismo dei suoi compatrioti Jean Paul Sartre e Albert Camus. E di sicuro i suoi lavori (soprattutto i romanzi) possono essere facilmente ascritti a quel filone. Però la “condizione umana” che lui cerca di mettere sotto i vetrini del suo microscopio di acuto osservatore non è semplicemente l’incapacità di comunicare. I suoi personaggi sono attori drammatici e mettono a nudo alcuni principi del dolore e dell’essenza umana con una plastica evidenza che davvero non ha pari (almeno nella mia memoria di lettore distratto).

Insomma con un solo romanzo, con una sola storia, il lettore si porta a casa almeno tre capolavori: la cronaca indimenticabile di una pagina tra le più tragiche e memorabili della storia cinese del Novecento; il romanzo d’azione, con una cadenza che lascia quasi senza fiato; l’affresco del mondo asiatico del primo Novecento suggestivo ed elegante come solo Graham Greene poteva aspirare a essere, e infine il romanzo “esistenzialista” con i drammi dei singoli personaggi dove la Storia si annulla per lasciar posto al dolore e all’universo interiore dell’individuo.

E siccome gli integratori multivitaminici – di cui parlavo all’inizio –  sono soprattutto indicati per i ragazzi  nella loro fase di crescita, ecco che un romanzo come questo diviene per loro una sorta di titolo imprescindibile.

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