Siamo davvero sicuri che si possa vivere un’altra vita qualora il destino ce la possa offrire? Sicuri che si possa abbandonare la propria identità, il proprio vissuto, ormai stratificato come una corteccia che ci fa da filtro con il mondo esterno, per scegliere di essere un altro? Javier Marias, lo scrittore spagnolo già autore di bestseller apprezzati dalla critica come Domani nella battaglia pensa a me  e Tutte le anime, nel suo ultimo romanzo (Berta Isla, pubblicato come i precedenti da Einaudi) ci offre la sua risposta. Marias dice che no, non si può abbandonare del tutto il proprio passato. Ci seguirà sempre e la nostra identità non potrà morire se non biologicamente. Gli altri possono pure mettere un sigillo burocratico sulla nostra esistenza ma non basta. La crisi dell’uomo che ha perso, anche accidentalmente, la propria identità è un topos classico della letteratura. E ci stupirebbe il contrario visto che la letteratura proprio per statuto indaga l’uomo e la sua coscienza di sé. Non dobbiamo guardare lontano per cercare un riferimento esemplare. Abbiamo il Pirandello del Mattia Pascal, ovviamente. Marias, però, dissemina il suo romanzo di rimandi a un altro classico della letteratura mondiale: Il colonnello Chabert di Balzac. E’ certamente più attinente alla storia che racconta, vale a dire la storia di Thomas Nevinson, anonimo studente di lingue e letterature straniere di Oxford cooptato nei servizi segreti di Sua Maestà la Regina. Il problema di Tom (o Tomàs, visto che ha la doppia cittadinanza, nato e cresciuto a Madrid) è che quando viene “arruolato” aveva già deciso come sarebbe stata la sua vita e soprattutto accanto a chi l’avrebbe passata. Si era promesso a Berta Isla, appunto. Con lei voleva vivere, era lei che voleva sposare, e con lei condividere e affrontare tutte le asperità che il destino avrebbe posto sul loro cammino.

Un agente segreto però è costretto a vivere mille identità differenti e soltanto nel tempo residuale tornare nei prorpi panni. Tom lo scopre a proprie spese e così fa anche Berta che da subito divine una sorta di vedova Chabert.  Lei è il vero protagonista  del romanzo (almeno per l’autore che la onora del titolo), perché è lei che è costretta alla scelta più difficile: vestire i panni della vedova che non rinuncia alla propria scelta o guardare avanti e rifarsi una vita? Lei come Tom aveva scelto. E non voleva tornare indietro nemmeno quando i funzionari di Sua Maestà le hanno iniziato a versare una pensione di reversibilità. Tom invece è meno forte di lei; nelle sue tante vite “posticce” ha cercato di passare il tempo nel modo meno impegnativo non riuscendoci però del tutto.

Il romanzo è ricco di colpi di scena e offre un interessante scorcio della storia spagnola e di quella inglese, raccontate praticamente in parallelo, da Franco alla Thatcher passando per la guerra delle Falkland. Ma si legge come un classico, come un testo shakespeariano. Si legge come l’Enrico V e proprio come il celebre re, vincitore sui francesi, viene messo sotto accusa dal Bardo per il suo subdolo mimetizzarsi in mezzo ai soldati per coglierne l’umore prima della battaglia, così Marias ci pone di fronte alle doppiezze della Intelligence, costretta ai più feroci e ingannevoli mezzi per non intaccare l’ordine costituito.

Ce ne sono di argomenti per fare di questo un romanzo da tenere bene in vista negli scaffali della propria biblioteca. Un libro che si rileggerà con intatto piacere e profitto anche fra cinquant’anni, quando magari il nuovo ordine costituito avrà cancellato confini e monete.  Perché non soltanto ci offre i dubbi e i tormenti dell’agente segreto ma anche l’imperscrutabile amore che la moglie gli porta. E la sua fedeltà, la fedeltà di Berta Isla, resta un mistero affascinante e seducente come un’opera d’arte di cui non capiamo la genesi ma di cui ammiriamo con beatitudine il risultato finale.

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