Nei dilatati tempi casalinghi di questi giorni mi è capitato di riordinare alcuni scaffali della libreria. E tra le mani mi è finita una copia dei Malavoglia di Giovanni Verga. Non ricordavo di averla. Almeno non quell’edizione. Si tratta infatti di una vecchia edizione scolastica (Mondadori editore), curata da Romano Luperini. Incuriosito dal ritrovamento mi sono messo a rileggere il capolavoro del Verismo. E sono precipitato in fretta nella vita della famiglia Malavoglia. Non è una storia molto leggera. Non certo il modo più allegro di passare la quarantena. Però mi ha impressionato la sua attualità. E chissà se anche i ragazzi che lo stanno affrontando come compito scolastico vedono la singolare attualità del suo messaggio. Se non vado errato – i miei ricordi scolastici sono vaghi – lo si consigliava come modello esemplare di una poetica (il verismo) della quale l’autore catanese era un maestro riconosciuto. Interrogati bisognava soprattutto ricordare quelle caratteristiche che ne facevano un manifesto. In tempi di pandemia, però, non mi ha colpito tanto l’ideologia letteraria sottesa al testo.  Piuttosto le coincidenze con la situazione che molti si trovano a vivere oggi.  Fatta di dolore, morte, pandemia, tragedie annunciate, e sacrifici. Il lockdown è stata una vera tragedia economica per tante categorie produttive e per tanti lavoratori. E gli Stati, a iniziare dal nostro, già fanno i conti con i debiti futuri. I governi mettono in circolo denaro, gli interessi del quale poi si accumuleranno nel nostro debito pubblico. Insomma molti sopravviveranno grazie a queste misure economiche che poi tutti quanti saremo chiamati a pagare. Come non vedere nel naufragio della Provvidenza (la barca dei Malavoglia) una metafora del virus che sta assediando le nostre vite.  Come non vedere nel debito contratto da padron ‘Ntoni un’allegoria del nostro destino. La famiglia dei Malavoglia si rimette ogni volta a capo chino a raccogliere le forze e i denari necessari per riscattare una sorte avversa. Lo fa con gli esempi nobili dello stesso capofamiglia, della Mena e di Alessi. L’usura di zio Crocifisso sembra quasi un inevitabile aspetto della vita economica del paese di Trezza. La sua implacabile legge è accettata istintivamente dallo stesso padron ‘Ntoni che in questo si rivela quasi un filosofo dell’economia di mercato. L’economia va avanti soltanto se c’è speculazione sembrano dire tutti, dal sensale Piedipapera, agli stessi protagonisti del contratto economico che porterà alla fine i Malavoglia fuori dalla vecchia casa del nespolo nel momento più duro della loro parabola. Che poi è anche quello che coincide – altra analogia con la nostra attualità – con la diffusione del colera nella Sicilia orientale negli stessi anni in cui è ambientato il romanzo. Un’epidemia che taglierà le gambe ai piccoli padroncini, ai piccoli imprenditori agricoli e a coloro che volevano fare del commercio una fonte di arricchimento. Malgrado ciò, la piccola formica dalla schiena piegata di padron ‘Ntoni riuscirà a riportare la famiglia (o meglio quel che ne rimane) nella casa avita. E il romanzo si chiude proprio nella corte dominata dal nespolo. Con il giovane ‘Ntoni che offre le spalle ai fratelli e se ne va via per l’ultima volta, per sempre. Perché, in fondo, ci sono giovani che non riescono a convivere con la regola del sacrificio, con la norma del mettere da parte giorno per giorno un “grano” alla volta nelle speranza di garantirsi un futuro meno incerto. Ci sono giovani, come ‘Ntoni e Lia che non accettano un destino già segnato ed è per quello che scappano nella grande città.

A meravigliarmi non è poi soltanto la coincidenza con la nostra attualità. C’è quella lingua “grassa” e ricca che Verga si è studiato di riproporre tale e quale quella parlata dalle classi popolari nella Sicilia del XIX secolo. Ci sono meravigliose espressioni popolari e dialettali che sono come incastonate nel tessuto di un vigoroso italiano ottocentesco.  Sono il vanto di padron ‘Ntoni. Attraverso di loro il vecchio pescatore mostra la forza della saggezza popolare, la forza di un buon senso che non disdegna un approccio animistico alla vita. Tra tutte, una sua espressione mi è rimasta impressa a fine lettura. “Lo sfortunato ha i giorni lunghi” dice a un certo punto padron ‘Ntoni. Come non dargli ragione, soprattutto in questi giorni.

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