Ci sono romanzi che hanno un fascino misterioso. Ci sono romanzieri che riescono a nascondere, anche dietro le storie apparentemente più semplici e banali, suggestioni e rimandi altamente evocativi. Tracce vaghe, insomma, che riescono alla fine a inserire la storia (romanzo) in questione nel ristretto novero dei titoli più affascinanti ancorché più misteriosi della letteratura di ogni tempo. Appena conclusa la lettura delle Affinità elettive di Johann Wolfgang von Goethe (nell’edizione dell’Universale Feltrinelli, tradotto da Umberto Gandini e con una prefazione di Italo Alighiero Chiusano) non ho alcun dubbio che il romanzo vada subito collocato in quella ristretta cerchia. La storia la conoscono tutti. E soprattutto è risaputo il successo che l’espressione “affinità elettive” è riuscita a conquistarsi in breve tempo fino a divenire un modo di dire. Eduard e Charlotte vivono una serena vita matrimoniale nell’agio della loro grande proprietà. Il tempo lo passano appunto a constatare con austera soddisfazione che i gusti simili e le simili inclinazioni li portano a condividere tutto ciò che fanno. Per sconfiggere la noia tipica dei rentiers si prodigano nelle migliorie dei terreni e dei pascoli. Ma non basta. Ecco quindi l’idea: avere ospiti. In villa arriveranno il Capitano (sodale di vecchia data di Eduard) e Ottilie, giovane orfana ma imparentata con Charlotte, che quest’ultima vuol far uscire dal collegio dove viveva. I destini dei quattro personaggi si intrecciano. Goethe non ha bisogno nemmeno di dare un nome al Capitano (che nella parte finale del romanzo sarà promosso a Maggiore) o di circostanziare la storia che racconta e di darle una quinta ben tratteggiata. Tutto rimane vago perché l’interesse principale del celebre scrittore tedesco è confezionare un conte moral sulle virtù sociali del matrimonio e su quelle altrettanto importanti della donna onesta. Quindi, se i destini dei quattro personaggi si incrociano il finale non può che essere tragico.  Come ricorda bene Chiusano nella sua introduzione  il romanzo (comparso nel 1809 quando l’autore stava per doppiare la boa dei sessant’anni) non era stato capito dai contemporanei, che avevano finito per accantonarlo proprio per la sua morale raccomandabile.

In verità i posteri sarebbero poi rimasti affascinati proprio dall’ambiguità del messaggio (scambio di coppie, adulterio e paternità, cioè temi dubbi messi alla berlina ma a un tempo anche delicatamente e minuziosamente descritti) e dall’enigmaticità del personaggio di Ottilie. Che solo in apparenza risponde al canone molto ottocentesco della signorina senza dote ma dalle tante virtù. Lo stesso Chiusano nella prefazione ricorda che non si riesce a definire il carattere di questa che solo apparentemente possiamo considerare un’eroina tragica. In fondo Ottilie è più intelligente degli altri personaggi femminili (ma anche di quelli maschili). Si muove con destrezza tra mille insidie esibendo una maschera di perfetta umiltà. Eppure anche lei cade nel gorgo dell’esperimento di laboratorio proposto da Goethe. Che forse, però, ci aiuta con un piccolo (ma significativo) accorgimento a considerare la stessa Ottilie un personaggio particolare se non un alter ego dell’autore stesso (ma in maniera positiva e non negativa come fece Flaubert con la sua Emma Bovary): vale a dire un semplice diario. Le pagine del quale si alternano al racconto nella seconda parte del libro. È l’unico personaggio che ha diritto a una “voce” e non solo. È l’unico personaggio che ha il privilegio di dilettarsi in aforismi e di fornire giudizi sul mondo. Ecco la piccola, virtuosa, orfanella sferzare la borghesia con una considerazione inappuntabile: “Nessuno è più odioso di un individuo grossolano di condizione borghese. Da lui si dovrebbe pretendere finezza, dal momento che non ha nulla di rozzo di cui occuparsi”. Povera Ottilie! Se fosse catapultata ai nostri giorni inorridirebbe di continuo, dal momento che i nostri borghesi hanno perso quasi tutte le loro originarie qualità per livellarsi verso il basso con chi – come dice Ottilie – “è costretto a occuparsi di qualcosa di rozzo”. Ma il suo acume (troppo raffinato per non essere associato a quello dell’autore) raggiunge il massimo nel quinto capitolo del romanzo, dove la stessa orfanella scrive:”I folli e gli intelligenti sono ugualmente innocui. I più pericolosi di tutti sono solo i mezzi matti e i mezzi intelligenti”. E di queste ultime due categoria l’emergenza Covid ha fatto uscire allo scoperto un campionario davvero incredibilmente vario e vasto che lascerebbe la povera Ottilie senza parole.

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