La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo Le anime morte di Nikolaj Gogol’ è una leggenda metropolitana che negli anni Novanta serpeggiava nelle nostre grandi città. Riguardava i cinesi. Questa leggenda metropolitana li descriveva come immortali. Nel senso che nessuno di loro moriva ufficialmente perché i suoi documenti erano necessari per altri che sarebbero arrivati più o meno clandestinamente dopo di lui. E la controprova di questo ragionamento era la semplice e ingenua domanda: “Hai mai visto il funerale di un cinese?” Personalmente no. Ma non ho mai visto nemmeno il funerale di un neozelandese, di un portoghese o di un croato, quindi non mi sento di avallare o dar credito a queste dicerie. Forse, se Nikolaj Gogol’ fosse vivo oggi e vivesse dalle parti di piazza Vittorio a Roma (città che peraltro lo scrittore russo ha frequentato a lungo e dove ha anzi materialmente scritto buona parte delle Anime morte) approfitterebbe di questa leggenda metropolitana per scrivere un grande affresco satirico sul melting pot, sulla credulità popolare (che oggi è ben alimentata dal fenomeno delle fake news), sulla lentezza e goffaggine della macchina burocratica e sulla conseguente corruzione.
Quindi, se dovessi mettere il romanzo (un classico della letteratura russa del XIX secolo) nelle mani di un ragazzo, farei questa premessa: “Guarda qui. Le cose non sono poi tanto cambiate da allora: ci sono ancora i profittatori, i creduloni, gli avidi, e gli inetti. E la società russa dell’epoca non era poi tanto diversa da quella in cui viviamo noi oggi”. Se il ragazzo in questione sollevasse obiezioni come “allora perché non leggere un romanzo di oggi sullo stesso tema, invece di quello scritto da un russo due secoli fa?” Risponderei semplicemente: “E’ scritto meglio. E’ un capolavoro di scrittura satirica. E poi è pieno dei difetti tipici di un’anima tormentata e impaurita. Dove non soltanto hai una grande prova letteraria ma anche il contemporaneo tentativo di offuscarla e di cancellarla. Le perplessità del ragazzo – come le vostre che state leggendo in questo momento – verranno immediatamente sciolte se si pensa al fatto che il romanzo non è mai stato terminato. Anzi. Il progetto era un racconto delle avventure di Pavel Ivanovic Cicikov diviso in due parti. La seconda è rimasta purtroppo soltanto un abbozzo, nel quale però si può trovare il tentativo dello stesso Gogol’ di mitigare il suo pessimismo e la forza della sua satira sociale, mettendo intorno al protagonista alcuni personaggi finalmente positivi e soprattutto instillando nella sua mente il dubbio che una vita migliore (rispetto a quella di truffatore spregiudicato e cinico che aveva condotto nella prima parte del romanzo) fosse possibile. Inutile dire che la prima parte è meravigliosa quanto la seconda patetica e poco credibile. Segno che la vera letteratura si esprime soprattutto di sentimenti forti e di spietate analisi sociali. E che ha bisogno di agire al di là della censura (che sia questa di origine psicologica o ideologica, poco importa).
Cicikov batte il governatorato di N. alla ricerca di “anime morte” da comprare. Le “anime morte” sono i servi della gleba deceduti o scomparsi dopo l’ultimo censimento e per i quali, quindi, il padrone paga ancora il “testatico” fino al censimento successivo). Nessuno ne ha mai comprate e nessuno capisce perché Cicikov insista tanto a farlo. Il suo progetto è quello di accumularne tanti da poterli fittiziamente rivendere o ipotecare prima del censimento. In questo modo si metterebbe in tasca un bel gruzzolo grazie a una vera e propria truffa. I personaggi che incontra sono gli stessi che popolerebbero i gironi danteschi dell’Inferno. Micragnosi nobili di campagna, apatici possidenti, vecchiette avide e così via. Tutti ignoranti del meccanismo messo in moto da Cicikov ma tutti sensibili alle lusinghe del guadagno. Se ci mettete in mezzo anche la grandezza della Russia e l’isolamento in cui vivono i proprietari terrieri capirete quanto era facile allora essere preda del primo imbonitore di passaggio. Illuminante il passaggio in cui Gogol’ descrive le perplessità dei notabili di N. dove Cicikov tenta le sue fortune. Molti di loro pensavano fosse un truffatore. Altri che fosse un funzionario mandato in incognito a controllare la loro onestà. “Tutte le ricerche compiute dai funzionari – scrive Gogol’ – rivelarono soltanto questo: essi non sapevano chi e cosa fosse Cicikov, ma qualcuno o qualcosa doveva certo essere. Finalmente risolsero di discutere a fondo il problema, per decidere almeno cosa dovessero fare e come, quali provvedimenti prendere e cosa egli fosse: se un uomo che bisognasse acciuffare e arrestare come malintenzionato, o, invece, se fosse lui l’uomo in grado di acciuffare e mettere in stato di arresto tutti loro”. Un relativismo dove la morale ha perso di sostanza e dove regna soltanto l’avidità. E sarà proprio l’avidità della vedova Korobocka, arrivata a Pietroburgo per sapere se il prezzo cui ha ceduto le sue anime morte fosse congruo, a smascherare il piano diabolico di Cicikov.
In attesa che qualcuno scriva un affresco della società moderna tanto vivido e impietoso (ci riferiamo alla prima parte), non ci resta che goderci la scrittura di Gogol’, maestro quant’altri mai di una letteratura immarcescibile. E apprezzare anche il suo insuccesso come scrittore morale, visto che la seconda parte è rimasta incompiuta e poco credibile. D’altronde è lo stesso autore a dare la miglior descrizione della potenza visiva della vera letteratura che si nutre della realtà così com’è e che si fa beffe delle costruzioni cerebrali (e moralistiche) dell’uomo. Descrivendo un paesaggio tipico della campagna russa Gogol’ scrive: “Insomma, tutto era bello, di una bellezza che né la natura né l’arte sanno creare, ma che si ottiene unicamente quando esse si uniscono, quando, sull’opera dell’uomo spesso troppo complessa senza ragione, passa l’ultimo suo colpo di cesello la natura, ed alleggerisce le masse pesanti, annulla la grossolana simmetria e i miseri interstizi attraverso cui s’affaccia la mal dissimulata nudità del disegno e dà uno splendido tono caldo a tutto ciò che è stato foggiato come fredda, misurata lindura e ordine eccessivo”.

Ps
C’è comunque una postilla da aggiungere. Forse il giudizio sulla seconda parte è stato fin qui troppo severo. In effetti anche lì si trovano perle da ammirare. Come il personaggio di Kosstanzoglo, possidente illuminato e devoto al lavoro e alla terra. Dalle sue parole risulta essere un precursore della teoria economica della decrescita felice nonché uno sciovinista convinto. Il suo elogio del lavoro e della fatica farebbe impallidire anche il celebre minatore sovietico Alksej Stakanov.

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