Nel giorno della approvazione del cosiddetto Jobs act, che Renzi ha celebrato come una svolta storica e  i sindacati hanno – secondo un copione ormai consolidato – bollato come una svolta reazionaria, mi è capitato per caso sott’occhio il primo editoriale che scrissi dopo avere assunto, nel gennaio del 1979, la direzione de “La Notte”. E’ stata una esperienza abbastanza sconvolgente, nel senso che mi sono reso conto che, in 36 anni, i problemi dell’Italia sono rimasti  gli stessi, e che per quante “riforme storiche” il nostro governo faccia, la strada del risanamento rimane lunghissima. L’articolo, che coincideva con la trentacinquesima crisi di governo della Prima repubblica, era intitolato “Decalogo per chi verrà” e, affinché possiate rendervi conto personalmente della situazione, mi permetto di riportarne alla lettera i dieci “comandamenti. Dunque, giudicate voi.

1)Ripristinare ad ogni costo l’ordine pubblico. La gente non ne può più della criminalità -comune e politica – e oggi come oggi sarebbe disposta ad accettare anche leggi eccezionali pur di vedere finalmente una inversione di tendenza. Perciò, basta con il lassismo, basta con le esitazioni a rinforzare le forze dell’ordine.

2) Mettere fine agli sprechi di Stato. Per quelli che pagano onestamente le tasse, la pressione fiscale è giunta in Italia ai limiti di rottura. Ma i cittadini devono assistere impotenti allo sperpero annuale di migliaia di miliardi (allora non c’era ancora l’Euro-ndr)

3) Fare funzionare i servizi pubblici: il progressivo degrado dei trasporti, delle poste, dell’assistenza sociale è uno dei fattori che rende così difficile la vita di tutti.

4) Restituire all’Italia una Giustizia degna di questo nome. Oggi, per le lentezze della magistratura, l’estrema complessità delle leggi, la casualità e talvolta la parzialità delle indagini, si procede in un certo senso per decimazione. Le norme sono tali e tante, che a finire sotto processo non sono soltanto i delinquenti, che in genere trovano il modo di cavarsela, ma anche cittadini per bene cui nessun altro Stato dedicherebbe le proprie attenzioni.

5)Rimettere ordine nelle scuole, dalle elementari all’Università. La maggior parte delle riforme che si sono susseguite negli ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione, con il risultato che “la più grande azienda italiana”  sforna oggi giovani in maggioranza impreparati ai compiti che li attendono.

6) Ridare al cittadino un po’ di autentica libertà: che non è quella di dimostrare in piazza o imbrattare i muri di scritte rivoluzionarie, ma di potere programmare la propria vita senza continue interferenze da parte di pubblici poteri.

7) Se bisogna fare dei sacrifici, che siano eguali per tutti. Questo significa, da un lato, che anche chi non ha le trattenute sulla busta paga deve pagare le tasse su tutti i suoi guadagni, ma anche che chi prende uno stipendio se lo deve guadagnare. Chi lavora seriamente è stanco di faticare anche per gli assenteisti, i lavativi, e chi si fa mantenere in cassa integrazione mentre ha un secondo o un terzo lavoro.

8) Dare un taglio netto agli scandali del sottogoverno. Ce ne sono tanti che la gente, quando viene chiamata a un maggiore impegno, ha ormai una reazione quasi automatica. “Ma a che serve scarificarsi, se poi quelli della Lockdeeed……”Qualche esemplare punizione farebbe molto per ristabilire un clima di fiducia.

9) Applicare gli articolo 39 e 40 della Costituzione e regolamentare gli scioperi. Sappiamo che i sindacati non ci sentono da questo orecchio. Ma anche loro non possono ignorare in eterno le voci che vengono dal basso; e oggi anche molti cittadini sindacalizzati sono stufi dell’anarchia.

10) Cessare di mediare tra le parti e sfornare leggi-compromesso che non funzionano, e cominciare a governare sul serio.

A parte il riferimento allo scandalo Lockheed, di cui nessuno si ricorda più, una mano più leggera sul funzionamento dei trasporti e delle poste, che forse bè migliorato, la presa d’atto che il potere sindacale non è più quello di prima e, circa il punto 10, la costatazione che un tentativo di uscire dalla paralisi legislativa è in corso, non cambierei una virgola di quanto ho scritto quando quasi la metà degli italiani non erano ancora nati. Non c’è perciò da stupirsi se siamo costantemente arretrati in tutte le classifiche che contano, da quella sulla produttività a quella sul clima per intraprendere (e adesso perfino in quella sulla libertà di stampa) e, Grecia a parte, ci considerano il malato d’Europa.

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