Nel momento in cui il governo italiano, su istanza della sinistra e senza tenere conto degli sviluppi della situazione in Medio Oriente, dà luce verde al riconoscimento di uno Stato palestinese finora inesistente, da New York è arrivata una notizia, pressoché ignorata dai notri media , che secondo me ha un impatto storico sulla crisi che ci affligge da 70 anni. Un tribunale di Manhattan ha stabilito che  l’Autorità palestinese e l’OLP , cioè le organizzazioni “moderate” che Roma vorrebbe ora riconoscere come Stato, e che allora erano guidate dal Premio Nobel per la Pace (!) Yasser Arafat, hanno scientemente appoggiato sei attacchi terroristici in Israele tra il 2002 e il 2004 in cui hanno trovato la morte vari cittadini americani. La Corte ha condannato le due organizzazioni a risarcire i parenti delle vittime con 218,5 milioni di dollari, che in base alla Legge antiterrorismo degli Stati Uniti sono stati moltiplicati per tre, per un totale di 655 milioni. I familiari dei cittadini statunitensi coinvolti negli attentati – 10 famiglie in totale – si sono avvalsi di una legge che consente alle vittime di atti terroristici anche commessi all’estero di intentare causa contro i loro presunti autori intribunali  americani. C’erano già stati due  precedenti, ma l’AP aveva preferito, per evitare la cattiva pubblicità, di chiudere la vertenza in sede extragiudiziaria.

L’importanza della sentenza trascende di gran lunga il suo aspetto finanziario. E’ molto dubbio che AP e OLP tirino mai fuori la somma che sono stati condannati a pagare, un po’ perché hanno ancora la possibilità di ricorrere in appello, un po’ perché in questo momento non saprebbero dove prenderla. Ma, sul piano politico, la decisione del tribunale newyorchese corrobora la tesi di Israele che anche le forze palestinesi più moderate, che tutta la comunità internazionale sostiene e che ora pretende dignità statuale, sono state al tempo dell’Intifada strettamente collegate con un terrorismo che fece centinaia di vittime civili tra israeliani e stranieri. L’accusa è riuscita a dimostrare che molti degli attentatori erano sul libro paga dell’AP, che questa ha continuato a pagare loro lo stipendio anche quanti sono finiti in carcere e che continua a pagare una specie di pensione di riversibilità agli attentatori  suicidi. Inutile è stata la testimonianza della rappresentante dell’AP, Hanan Ashrawi, che ha sostenuto che AP ed OPL hanno sempre cercato di evitare la violenza.

Le reazioni sono state immediate. Il vice ministro dell’Informazione dell’AP,Mahmoud Khalifa, nel preannunciare il ricorso in appello, ha accusato la destra israeliana di avvalersi di una legge americana figlia dell’11 settembre per “promuovere le sue teorie”, e il premier Netanyahu ha replicato di sperare che, nella scia della sentenza newyorchese, tutta la comunità internazionale continuerà a punire coloro che sostengono il terrorismo. Ma l’impatto maggiore della decisione della Corte dovrebbe essere quello di screditare il tentativo dell’AP di trascinare Israele davanti al Tribunale internazionale dell’Aja per crimini di guerra commessi durante l’ultima guerra di Gaza. Sarà facile risponderle con la parabola della pagliuzza e della trave.

La condanna di AP ed OLP, seguita a un’altra contro la Arab bank per avere finanziato Hamas, classificata sia dagli USA sia dalla UE come organizzazione terroristica, dovrebbe anche attenuare la campagna antiisraeliana attualmente in corso sia in Europa, sia negli Stati Uniti (a causa soprattutto dei pessimi rapporti personali tra Obama e Netanyahu) per la sua renitenza ad accettare la soluzione “due stati che vivono in pace e in armonia l’uno con l’altro” . La tesi dello Stato ebraico è che non può accettare la nascita, a pochi chilometri dai suoi centri vitali, di uno Stato collegato con il terrorismo, e di cui la parte rappresentata da Hamas è addirittura votata per statuto alla sua eliminazione. Si tratta, a mio parere, di una campagna insensata, alimentata da un’ondata neppure troppo occulta di antisemitismo, in un momento in cui il Medio Oriente è travolto da ben altri problemi ed Israele, oltre a essere l’unica democrazia della regione, sta perfino collaborando con l’Egitto per il contenimento dell’ISIS. Perciò, che l’AP paghi o non paghi, che i vincitori del processo riescano o non riescano a fare sequestrare i suoi beni all’estero, ha una importanza marginale. L’importante è che i tanti (troppi) filopalestinesi d’Occidente prendano atto con chi hanno a che fare. Ma, a giudicare dal comportamento del Parlamento italiano, neppure questa lezione è serviuta a qualcosa.

 

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