Speriamo che i fatti di Colonia servano almeno a uno scopo: mettere a tacere una volta per tutte i sostenitori del multiculturalismo, o relativismo culturale, secondo i quali  bisogna consentire agli immigrati di vivere secondo i propri costumi, la propria religione, senza costringerli ad assimilare i principi della nostra società anche se diventano residenti stabili.  I multiculturalisti partono dal principio che ogni popolo, ogni comunità religiosa, ha diritto a seguire le proprie tradizioni e la propria civiltà, e che noi non abbiamo i titoli per decidere che le nostre sono superiori alle loro. Applicando questo ragionamento fino in fondo, non potremmo neppure decidere se è meglio concedere a una vedova una pensione di reversibilità o bruciarla viva su una pira con il cadavere del suo sposo.

Dal momento che la presenza di individui con  culture diverse dalla nostra si sta moltiplicando nei nostri Paesi, il multiculturalismo ci porterebbe alla creazione, sullo stesso territorio, di tante comunità che obbediscono a regole diverse (e spesso reciprocamente inaccettabili). I primi segnali di uno sviluppo del genere si sono già avuti in Gran Bretagna, in Olanda e in Svezia, dove sono sorte corti islamiche che applicano la sharia soprattutto nel diritto familiare, cioè in materie da noi non regolate dalla legislazione o comunque dominate da consuetudini molto diverse. Esempio classico, il delitto d’onore, cioè per esempio l’uccisione da parte dei parenti di una figlia che si è accoppiata con un infedele: per i musulmani è un atto dovuto, per noi un omicidio.  Ma questo è soltanto un esempio di un processo che, con l’applicazione sistematica del multiculturalismo, ci porterebbe ancora più lontano, soprattutto nel rapporto tra uomo e donna. Non né certo un caso che, tra gli avversari del multiculturalismo, ci siano molte donne musulmane, che vedono nell’adozione dei NOSTRI costumi, leggi e tradizioni il migliore, se non l’unico modo per sottrarsi a una sottomissione secolare.

I musulmani che sono venuti a vivere tra noi devono capire che, vivendo in un contesto completamente diverso, non possono mantenere le stese abitudini e gli stessi atteggiamenti che avevano a casa loro. Episodi come quello di Colonia sono perfettamente in linea con i costumi degli assalitori, come dimostra che bande di giovani avevano tenuto lo stesso comportamento in piazza Tahir al Cairo durante la cosiddetta primavera araba senza suscitare particolare scandalo. Ma, se vogliono convivere con noi, IN CASA NOSTRA, debbono per forza cambiare registro. Possono rimanere musulmani, continuare a pregare (ma senza interrompere il lavoro quando credono), non mangiare maiale, ma rinunciare a tante altre cose che in patria erano normali. La cultura è modo di vita, e due modi di vita diversi non possono convivere senza creare conflitti; e per prima cosa, visto che gli immigranti sono loro, devono imparare la nostra lingua, o tornarsene a casa.

Secondo i multiculturalisti, imporre agli immigrati cambiamenti così radicali nel modo di agire e di pensare è una forma di prevaricazione, una specie di colonialismo praticato in casa nostra. A mio avviso, è una follia. Ma vogliamo essere concilianti? Limitiamoci a chiedere a chi vuole stabilirsi da noi di rispettare alla lettera, senza eccezioni, la Dichiarazione universale dei diritti umani. Sarebbe già un enorme passo avanti

 

 

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